Tante belle parole: cultura, istruzione, ricerca. Chi è contro la cultura? Chi contro l’istruzione? E vogliamo parlare della ricerca che fa sempre coppia con futuro, nuove generazioni. Anche se ovviamente trattasi di quella filologica. Non c’ègiorno e non c’è bar in cui il benpensante non ti spieghi che su queste grazie non si scherza, non si taglia e non si investe a sufficienza. Giusto. Andiamo avanti a raccontarci palle. L’Italia ha la capacità indiscussa di celare i suoi interessi di bottega dietro ai più nobili ideali. Parlano dicultura,ma è per pagare l’integrativo aziendale. Parlano di ricerca, ma è per stabilizzare i precari. Parlano di Kant, ma pensano al sindacato Snals. Prendiamo la Scala di Milano. Rappresenta una delle più importanti istituzioni, non solo culturali del paese. Bene.
Passano un paio di giorni dalla sciagurata approvazione della tassa regressiva posta sulla benzina che il consiglio di amministrazione della Scala riconosce ai propri dipendenti l’ultima tranche dell’integrativo aziendale. Più del 75 per cento del loro bilancio è a carico della collettività. C’è da chiedersi: siamo così sicuri che le 13 fondazioni liriche italiane, senza se e senza ma, si meritino il continuo sforzo dei contribuenti italiani? Siamo così certi che sia equo il nostro sistema di finanziamento? Funziona così: è come se in teatro si sedessero per ogni poltrona due spettatori. Il primo paga il suo biglietto a prezzo calmierato e assiste alla rappresentazione. Il secondo, che rappresenta l’insieme dei contribuenti, non si siede davvero a teatro, non ascolta le sublimi note, ma contribuisce al biglietto di ciò che non vedrà per 350 euro.
La vogliamo mettere più chiara ancora. Gli operai, i giornalisti, i dipendenti pubblici (che si sono beccati il blocco degli stipendi per tre anni) e le fattucchiere (che non evadono) ignoranti di opera con le proprie tasse pagano il privilegio di pochi ad imbeverarsi di cultura. È giusto? È equo? È normale?
Quando vi parlano di cultura e di suo sostegno, nel gran parte dei casi si vogliono sostenere gli stipendi di coloro che forniscono un servizio a una minoranza privilegiata che non paga il biglietto intero. Dunque almeno ci si risparmi l’ipocrisia. Tutti noi vogliamo tutelare la Scala. Ma si dicano le cose come stanno. La Scala ci serve come una bandiera, come una tradizione che ha un costo, e non come una grande operazione culturale di massa.
Il paradosso nel campo dell’istruzione è ancora più evidente. L’equazione in questo caso è la seguente: meno dipendenti equivale a meno istruzione.
Ma quando mai. Se così fosse i nostri vicini di casa sarebbero degli asini. In Italia il 97 per cento del Bilancio del ministero della Gelmini se ne va in stipendi: contro una media europea del 50 per cento. In Italia ci sono più bidelli che carabinieri. Abbiamo 9,6 insegnanti ogni 100 studenti contro una media Ocse di 6,5. E quando la Gelmini si mette in testa di ridurre il peso degli stipendi sul suo bilancio apriti cielo: è un attacco all’istruzione, al futuro dei nostri giovani. Ma va là. Questa critica è piuttosto un attacco al buon senso. Non sono tagli all’istruzione, sono tagli al carrozzone. Si può anche decidere (e sarebbe infausto) di non tagliare un accidente.
Ma non spacciamolo per istruzione: trattasi di agenzia di collocamento, di ammortizzatore sociale.
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