Venti miliardi di euro. Da raccogliere in due giorni. Segnatevi queste date, 28 e 29 dicembre, e incrociate le dita. Domani e dopodomani saranno due giornate di fuoco per il Tesoro italiano, che torna sul mercato offrendo Bot (per 9 miliardi), Ctz (2 miliardi), Btp e Cct (tra i 5 e gli 8,5 miliardi). Sull’esito delle prossime aste incombe come una cappa pesante il livello raggiunto venerdì scorso dallo spread tra Btp e Bund, rimontato fino a 515 punti base, e il surriscaldamento dei rendimenti dei Btp decennali oltre la soglia critica del 7%. La stessa dead line, per intenderci, che aveva costretto Grecia, Irlanda e Portogallo ad alzare bandiera bianca con la richiesta di soccorso internazionale.
Senza indulgere in un pessimismo di maniera, è probabile che i collocamenti si risolvano senza ostacoli dal punto di vista della domanda, ma con un prezzo piuttosto alto da pagare in termini di tassi d’interesse. Del resto, i precedenti non sono incoraggianti. Non lo è per nulla il risultato dell’ultima emissione di Bot annuali, con i rendimenti scesi appena al di sotto del 6% nonostante la manovra di riequilibrio dei conti pubblici ormai varata dal governo Monti. Era il 12 dicembre scorso, e l’effetto benefico sullo spread prodotto dall’insediamento del nuovo esecutivo (discesa da 530 a 356 punti) era già abbondantemente evaporato. Certo in parte per colpa di un deludente vertice Ue, in cui solo la Germania ha riscosso quanto desiderato sotto forma di un’unione fiscale che comporta rinunce della sovranità nazionale, senza nulla concedere all’attribuzione di maggiori poteri alla Bce, né - tantomeno - all’introduzione degli Eurobond.
È poi stato sufficiente che Mario Draghi staccasse il piede dal pedale dell’acquisto di bond italiani e spagnoli (crollati la scorsa settimana a 9 milioni di euro dai 3,36 miliardi) per assistere di nuovo al rapido surriscaldamento della temperatura degli spread. A nulla, peraltro, è servita l’asta a rubinetto aperta dall’Eurotower per sostenere le banche a corto di cash con prestiti illimitati e a tassi estremamente bassi. Chi sperava che gli istituti di credito dirottassero parte della liquidità incassata verso i titoli di Stato, è rimasto deluso. L’invito a comprare Italia non è stato di sicuro seguito dalle banche italiane, penalizzate dalle regole dell’Eba (l’authority europea) in base alle quali chi ha in pancia obbligazioni dei Paesi più stressati sotto il profilo del debito deve proteggersi adeguatamente, alzando gli scudi patrimoniali.
Ma la febbre italiana da spread e il suo effetto collaterale sui rendimenti merita un’altra riflessione. Anche alla luce del successo ottenuto dalla Spagna con l’asta dello scorso 20 dicembre, archiviata con un tutto esaurito e con tassi di interesse crollati all’1,7% sui bond trimestrali. Insomma: i mercati, nonostante l’ultima pesante manovra varata dal nuovo esecutivo, restano scettici sulle possibilità dell’Italia di abbattere un debito pubblico pari al 120% del Pil e allo stesso tempo di rilanciare una crescita che ormai latita da oltre dieci anni.
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