I nuovi belli Germano e Scamarcio fratelli contro nell’Italia del ’68

I due attori sono i protagonisti del film liberamente tratto dal libro di Pennacchi

Michele Anselmi

da Roma

«Fascistoni, dovete entrare urlando dopo Avanti popolo alla riscossa. Avete capito?», grida Daniele Luchetti alle comparse travestite da militanti del Msi pigiate nel corridoio: capelli corti e barbette scolpite, cravatte strette e mazze di legno. Dentro l’aula magna del mitico liceo Tasso, truccata da conservatorio occupato, anno 1969, si gira una scena cruciale del film Mio fratello è figlio unico (sì, come la canzone di Rino Gaetano), «liberamente tratto» dal romanzo di Antonio Pennacchi Il fasciocomunista. Sovrastati da striscioni a caratteri cubitali con scritte del tipo «Siamo tutti intonati / la stonatura è di classe» e «Sorgi, o sol dell’avvenire / siamo tutti studenti proletari», gli allievi del conservatorio eseguono il beethoviano Inno alla Gioia che lentamente trascolora in Bandiera rossa; e intanto il prof. Claudio Botosso, complice dell’autogestione, agita per l’assemblea studentesca i cartelli con i testi - si fa per dire - da intonare: «Mao Tze Tung, Marx, Trotzki, Lenin». È un attimo. Al culmine del rito propiziatorio, i fascisti irrompono nel salone, gettando volantini, e ne nasce un parapiglia: c’è chi le dà e chi le piglia, sotto lo sguardo desolato di Accio Benassi, cioè l’attore Elio Germano. Fino a poco tempo prima era un «nero», ora si ritrova a difendere il fratello «rosso», Manrico, dalle botte dei suoi ex amici.
Ci vuole qualche ciak per gestire l’affollata situazione (quattrocento le comparse), ma Luchetti è regista esperto, dà indicazioni chiare a quei ragazzi sprofondati in un Sessantotto che deve apparir loro remoto, tuttavia divertente. Otto settimane di lavorazione, un budget da cinque milioni di euro, nel cast anche Luca Zingaretti, Massimo Popolizio e Angela Finocchiaro, uscita prevista per febbraio, nella speranza di andare a Berlino. Chi ha letto il libro di Pennacchi, sa che Accio è il peggiorativo di un nome che non conosceremo mai. Trattasi di un Huckleberry Finn nato dalle parti di Latina invece che sulle rive del Mississippi. Nello scrivere il romanzo di formazione, l’autore finisce col raccontare molto di sé. Come Accio, infatti, anche Pennacchi da ragazzo si iscrisse al Msi, organizzò scioperi studenteschi e spedizioni punitive a colpi di catene, guadagnandosi i galloni sul campo, prima di essere espulso dal partito di Almirante; poi, travolto dalla sbornia sessantottina, aderì all’Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti) di Aldo Brandirali, condividendone la lezione maoista che imponeva al rivoluzionario di muoversi, per servire il popolo, «come un pesce nell’oceano delle masse».
«Incazzato, ribelle, attaccabrighe, goffo, innamorato, illuso, ingenuo, arrogante, disubbidiente, sentimentale»: così la pagina scritta fotografa, con dieci aggettivi, questo Accio, la cui vita scriteriata sembra rispecchiarsi nel viso ossuto e negli occhi mobili di Elio Germano, ventiseienne attore in gran crescita (presto lo vedremo protagonista di N - Ucciderò il tiranno di Paolo Virzì, dove medita di assassinare Napoleone all’Elba). Lui, nella vita molto di sinistra, tanto da dirti subito: «Non ho amici fascisti perché non li voglio avere», ha finito con l’affezionarsi a questo «giovane che si accende». Spiega: «I violenti sono interessanti, perché spesso sono intimiditi, hanno difficoltà di comunicazione, non trovano le parole giuste. Accio è estremo in tutto, ma in fondo non si sente picchiatore. Per lui, cresciuto a Latina in un ambiente di destra, lo “strano” è il fratello Manrico, che sta coi nemici». Poi anche lui si ritroverà, deluso, da quella parte della barricata, giusto in tempo per assistere alla morte di Manrico, ucciso a Torino dalla polizia in circostanze poco chiare. Ne ha fatta di strada, Germano, dall’esordio con Il cielo in una stanza dei Vanzina. Oggi appare sicuro, coccolato da produttori e registi, pure un po’ co-autore. Infatti ha insistito per portare qualcosa del Pasolini di Ragazzi di vita nel mondo di Accio, magari dimenticando che nel libro (non nel film) Pennacchi rievocava un litigio piuttosto vivace, in macchina, col poeta di Casarsa.
Naturalmente, nella trasposizione di Rulli & Petraglia, molti degli episodi autobiografici sono stati espunti, per evitare riferimenti storici precisi (da Sofri a Pajetta, da Scalzone a Delle Chiaie) e imprimere un tono più lieve, da ballata generazionale, con tratti comici e sentimentali, alla materia pure fosca. Il piacere di rovesciare qualche cliché emerge anche dalla scelta di Riccardo Scamarcio, il bello e impossibile del cinema italiano, nel ruolo del fratello Manrico. Chi lo ricordava freddo e impassibile killer di destra in Romanzo criminale, qui avrà una sorpresa. «Nel film sono un tipo solare, preso da tutte le cose, che ama la vita, consapevole di piacere alle donne, anche un po’ cazzaro e superficiale», dice del personaggio. Scamarcio, tra pochi giorni avvinto alla Bellucci sul set di Manuale d’amore 2 (il loro episodio si chiama Eros), confessa che, certo, gli sarebbe piaciuto incarnare Accio, «ma va bene così, anche perché mi piace morire sullo schermo».

Capelli scomposti e sguardo da sex-symbol, Scamarcio convive benissimo con la propria bellezza, «spero solo di essere anche un bravo attore e di portare gente al cinema». La pausa pranzo è finita. C’è da rifare qualche dettaglio della rissa. Uno striscione rosso avvisa: «La repressione è il canto del cigno della scuola borghese».

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