I nuovi manager? Meno soldi, più libertà

I nuovi manager? Meno soldi, più libertà

Sono ambiziosi, ma cercano anche la tranquillità. Vogliono fare carriera, ma ad interessarli è soprattutto la prospettiva di un lavoro stimolante. Bandita la ripetitività. Il posto fisso resta un sogno ma non il primo nella lista dei desiderata. E dunque, parafrasando, togliete loro tutto, ma non lo smarthpone o l'I-pad. Perché loro, i trentenni di oggi, con la tecnologia ci lavorano e, a colpi di click, vorrebbero ribaltare le logiche aziendali, soprattutto se polverose e imbrigliate nel concetto antico che, solo seduti ad una scrivania, dalle 8 alle 20, significhi lavorare sul serio. Un tempo c'era la Generazione X, quegli «yuppies» cantati anche qui in Italia perché «Hanno la macchina col telefono, le iniziali sul polsino, la brillantina nei capelli e parlano di lavoro». Oggi il telefono in auto suona alquanto jurassico e la crisi è arrivata a spuntare i sogni di carriera e le ambizioni di questi ex giovani, a loro volta figli dei baby boomers. E nel frattempo sono arrivati, i «nipoti», gli altri, quelli della Generazione Y, o meglio i venti-trentenni ormai pronti ad affrontare il mondo del lavoro. Una ricerca, presentata ieri ad Assolombarda e condotta dalla Fondazione Istud, ha fatto il punto sulle «incognite» della generazione di laureandi e neo laureati lombardi ed italiani che si affacciano alla vita. Lo studio è stato condotto su un campione di oltre 1660 studenti (età media 25 anni) e di 500 manager (età media 40 anni) di aziende che da anni hanno aderito alla Fondazione. Fra di esse Barilla, Ferrero, Generali, Intesa e Telecom, tanto per citarne alcune: tutte sono interessate ad affinare la domanda sulla base dell' offerta, cioè a trarre il meglio dal vivaio manageriale offerto dagli atenei italiani. Sognano la multinazionale (29,30%) o la grande azienda italiana (24%) e solo il 7,7 % si «accontenterebbe» della piccola e media impresa. Nel quadro dei dati incrociati emerge subito un aspetto dirompente: «La generazione Y - spiega Simonetta Manzini, coordinatrice del progetto di ricerca - è un'incognita, ma con caratteristiche ben diverse dalla generazione precedente». Dal ritratto del manager wannabe emerge un dato che riguarda il miraggio del posto fisso: lo si cerca, più al Sud che al Nord, dove però lo storico spirito imprenditoriale ha subito una battuta d'arresto, per via della crisi. Carriera (40%) e retribuzione (33%) sono i primi criteri che muovono alla scelta, ma anche la possibilità di imparare (26,6%). Ma su tutto - spiega Manzini - si cerca un lavoro stimolante, che non diventi ripetitivo e che permetta di crescere». Se non lo si trova? Si rinuncia magari anche ad un buon stipendio (il discrimine è sui 3mila euro) e al posto sicuro (lo chiede solo il 24%) pur di fare un'esperienza all'estero o più breve ma stimolante. In alcuni casi si preferisce prendere un anno sabbatico, facendo volontariato. Insomma, quando possibile, si sceglie. Ma una delle condizioni è quello di poter gestire, attraverso un uso massiccio della tecnologia, le ore di lavoro (fondamentale per il 90% degli intervistati). «Per i nostri genitori e ora anche per noi la divisione fra privato e lavoro era sacra». Oggi non è più cosi: se cellulari di ultima generazione o tablet permettono di lavorare anche «in mobilità», perché non farlo, uscendo prima o entrando dopo al lavoro? «Si può lavorare anche andando in palestra la sera o arrivando la mattina in ufficio dal treno»: ecco la generazione Mix, che è sempre connessa. Un osso duro, questo trend, da far comprendere alle aziende più strutturate. Ecco allora, dal punto di vista manageriale, i primi attriti con i quadri aziendali più «agée». «Sempre più si comprende la potenzialità di questi strumenti che non sono solo un capriccio», aggiunge Manzini. Però c'è un però: le aziende ancora riscontrano nell'atteggiamento dei giovani neo laureati un approccio da «Tutto e subito».

Molto più aperti e disposti al compromesso dei loro genitori (93%), ma meno inclini al sacrifico (49 %), «I giovani spesso si ribellano alle gerarchie», aggiunge la ricercatrice che fa un esempio: «Odiano mettere in copia capi e quadri se hanno preso un'iniziativa e vorrebbero avere trasparenza e più certezza di obbiettivi perché sono molto autodeterminati».

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