da Roma
Il governo uscente ha chiesto agli italiani enormi sacrifici economici e ha tagliato risorse che non avrebbe dovuto tagliare (vedi la sicurezza). Ma cè una categoria di intoccabili: i partigiani. Per ragioni anagrafiche si contano ormai a decine, ma ogni anno beneficiano lo stesso di un imponente fiume di contributi statali ridistribuito tra associazioni nazionali, regionali, comunali, sedi locali e periferiche, formazioni, federazioni, gruppi.
A versare quasi due milioni di euro nelle casse di sigle partigiane e non sono due ministeri: Interno e Difesa. LAnpi, lassociazione partigiana che ha recentemente disconosciuto lesito del voto invitando a scendere in piazza il 25 aprile in nome di un antifascismo che resta «militante» a sessantanni dalla fine della guerra, riceve da decenni un contributo annuo che non scende mai sotto i 500 milioni delle vecchie lire.
Il Viminale si occupa dell«Associazione nazionale perseguitati politici italiani» (48mila euro), dell«Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti» (40mila euro) e dell«Associazione nazionale vittime civili di guerra» (312mila), per un totale di 400mila euro.
Ben diverso il discorso per i fondi stanziati dal dicastero di via XX Settembre. Nel 2007 250mila euro di contributi pubblici sono andati allAnpi, associazione ufficiale dei partigiani dItalia. LAnpi vive bene anche grazie ai suoi 94.294 soci (tanti risultavano al congresso di Chianciano del 2006) che ogni anno pagano 25 euro per la tessera, e per le tantissime sovvenzioni che le sedi periferiche ricevono dalle amministrazioni locali in occasione di determinate ricorrenze.
Fa riflettere la circostanza che lAnpi conti svariate sezioni dislocate in zone del Meridione (vedi Siracusa e Catania in Sicilia, o Bari, Lecce e Taranto per la Puglia) dove di partigiani in guerra contro i tedeschi nessuno ha ricordo, anche perché il Sud dItalia è stato liberato dagli americani sbarcati in Sicilia il 9 luglio 1943 mentre i primi episodi di insurrezione partigiana sono avvenuti al Nord e sono datati fine settembre 43.
Allelargizione dei contributi statali, attraverso la legge 92 del 20 febbraio 2006, fanno ricorso le diciotto associazioni che aderiscono alla «Confederazione italiana fra le associazioni combattentistiche e partigiane» guidata dallex senatore Gerardo Agostini.
Oltre allAnpi, la militanza antifascista ha altre sovvenzioni. Dai 130mila euro girati alla «Federazione italiana delle associazioni partigiane» ai 70mila dell«Associazione combattenti volontari antifascisti inquadrati nei reparti regolari delle forze armate» fino agli oltre centomila suddivisi tra partigiani e militari «ex internati» e «reduci della prigionia». Da sottolineare inoltre i 20mila euro versati ai «reduci garibaldini», intesi come esponenti della Brigata Garibaldi che combattè nellex Jugoslavia, i 16mila agli antifascisti italiani che combatterono in Spagna, i 48mila dei «perseguitati politici»
Un bel po di soldi. Che nel corso degli anni qualcuno ha provato a ridurre. Ogni qualvolta si è provato a rivedere le cifre, son partite accuse di revisionismo e di sotterranei tentativi di riscrivere la storia del nostro Paese. Lultima nel 2004, quando la Corte dei conti bacchettò duramente alcune associazioni di ex combattenti a causa dei loro bilanci poco rosei e di forme di gestione non razionali. Nel periodo di governo della Cdl parte dei contributi vennero tagliati: 122mila euro nel 2004, 114mila nel 2005. Nel 2006 venne invece deciso un piano di stanziamenti triennale (2006-2008). È subentrato poi il governo Prodi con gli alleati post-comunisti. Ogni taglio ulteriore è stato bloccato nonostante i tempi di ristrettezze.
Specie allAnpi, che per continuare a sopravvivere - nonostante la decimazione naturale dei suoi iscritti - nel 2006 ha deciso di infrangere larticolo 23 dello statuto e di allargare liscrizione a tutti i cittadini «antifascisti» (dunque non più esclusivamente i partigiani, gli incarcerati, i deportati, gli internati). Un escamotage che ha ridato linfa allAnpi, oggi più forte e con più iscritti di prima.
Lex senatore Agostini, responsabile della Confederazione a cui si fa riferimento per le associazioni beneficiate di erogazioni pubbliche, al Giornale spiega che quei soldi, oggi più di ieri, «hanno un senso», e che «non ci sarebbe alcun motivo di ridurli perché tutte queste associazioni rappresentano la storia dellItalia.
E per farlo, ovviamente, servono soldi.
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