I partiti rinunciano ai finanziamenti Ma soltanto a metà

RomaVia libera al dimezzamento dei rimborsi elettorali. La Camera dei deputati ha approvato con 372 sì, 97 no e 17 astenuti l’articolo 1 del disegno di legge sulla riforma dei partiti, che riguarda il finanziamento di questi ultimi. L’articolo riduce da 182 a 91 milioni l’anno la cifra complessiva dei contributi pubblici per le spese sostenute dai partiti e dai movimenti politici. Il taglio dei finanziamenti avrà effetto immediato sulle casse dei partiti: sarà dimezzata già la rata di rimborsi elettorali 2008 che essi aspettano per luglio.
Un colpo d’ascia netto che - salvo sorprese nel successivo iter della legge - piacerà certamente all’opinione pubblica, ancor più dopo gli scandali che hanno investito la Margherita e la Lega, ma che poteva essere addirittura definitivo. L’aula prima dell’approvazione dell’articolo 1 aveva bocciato due emendamenti presentati dai deputati Giorgio Stracquadanio (Pdl) e Isabella Bertolini (Lega) che andavano nella direzione dell’abolizione totale del finanziamento pubblico. Contro il provvedimento più drastico avevano votato il Pd, l’Udc e gran parte dello stesso Pdl, mentre il Fli si era astenuto e a favore si erano espressi i deputati della Lega, l’Idv, i Radicali e Noi Sud, gli stessi che hanno poi votato no al taglio parziale. Stop anche a un emendamento dell’Idv che prevedeva di destinare l’ultima tranche di finanziamento ai partiti di questa legislatura ai cosiddetti lavoratori esodati. Disco verde, invece, all’emendamento del Pd che prevede l’ulteriore decurtazione del 5 per cento dei finanziamenti ai partiti che non garantiscano un’adeguata rappresentanza di donne in lista. La discussione del ddl continuerà oggi con l’esame degli emendamenti all’articolo 2 che ha come contenuto le misure per il controllo e la trasparenza dei bilanci. Soddisfatti i partiti che sostengono il governo. «Avevamo detto che avremmo dimezzato i rimborsi e ci siamo arrivati. Si comincia a vedere qualche fatto e siamo riusciti in un risultato concreto e vero», gongola il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, che ammette: «Certo, per il Pd questo vuol dire anche tagliarci un braccio perché per noi la spesa più grossa è la formazione di duemila giovani per l’iniziativa “Finalmente Sud” che comunque salveremo».
E a proposito di tagli alla politica, il presidente della Camera Gianfranco Fini dopo una lunga riunione con i vicepresidenti e i deputati questori, ha annunciato una «spending review» a Montecitorio, che dovrebbe portare a un risparmio di 150 milioni in tre anni. Il progetto infatti è quello di ridurre del 5 per cento le somme che la Camera chiede allo Stato, pari a 992,8 milioni l’anno: il taglio sarebbe quindi di circa 50 milioni l’anno. «Il risparmio - spiega il deputato questore Antonio Mazzocchi - lo otterremo con interventi sia di riduzione della spesa, sia attingendo dal fondo di solidarietà dei deputati». Ma c’è anche l’ipotesi «di bloccare le curve salariali dei dipendenti, mettendole alla pari di quelle della pubblica amministrazione». I tagli colpiranno anche i servizi per i deputati e i trasferimenti ai gruppi parlamentari, una voce che pesa parecchio sul bilancio interno di Montecitorio che alle voce «spese» ha una cifra che si aggira intorno al miliardo di euro.

Per questo, prima della riunione in calendario il 5 giugno, Fini convocherà un’altra riunione con vicepresidenti, deputati questori e capigruppo: un modo per valutare «gli indirizzi di riduzione della spesa» e per mettere a tacere gli inevitabili mugugni.

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