Il lungo fremito che percorse quella notte d'Italia ogni tanto par di sentirlo ancora. «Nino-Nino» divenne un suono, un tam tam, un urlo non stridulo come quello di una Sofia Loren su un palcoscenico americano, ma una acclamazione liberatoria e gioiosa, un coro da stadio che, per tanti anni, ci ha accompagnato e non lascerà più il nostro teatro della memoria. Teatro della memoria per cinquantenni e dintorni, ma oggi, come allora, se dici Benvenuti basta la parola. Benvenuti-Griffith è stato il nostro, detto come Italia e italiani, autentico, inviolabile forse inarrivabile sogno in black and white, quel bianco e nero che resiste allo scolorire della vita e dei ricordi. Il nero campione, il bianco sfidante, speranza di un mondo che cercava non la sopraffazione, come ai tempi delle sfide fra Joe Louis, l'americano buono, e Max Schmeling il tedesco "mandato" da Hitler, ma l'alternanza sportiva e il business provocato dal fascino del campione dalla pelle bianca.
Oggi Benvenuti non è più il ragazzo capelli a spazzola, braccia lunghe, viso magro e sagomato delle Olimpiadi di Roma o neppure quel magnifico belloccio dai muscoli lineari, guizzanti e il sinistro stordente, corazza da attore, grande orgoglio e intollerante presunzione da primadonna, andato a conquistarsi il titolo mondiale dei pesi medi nel Madison Square Garden di New York, il tempio della boxe per eccellenza. Oggi è un signore di quasi 75 anni che si è riconciliato con qualche errore commesso nella vita affettiva, che ti parla di boxe con passione, che ha vissuto la vita, voce rauca inconfondibile, forse marcata un po' dal tempo, ma conserva l'appeal dell'uomo che affascina, rimane fotografia dell'atleta che non invecchia mai, quasi gli occhi rifiutassero altra immagine che non sia quella con i guantoni al pugno, il torso nudo ed elegante, i capelli con la riga laterale mai sconciata dalla battaglia o dalla fatica. Indimenticabile: che divida o unisca. E rimane nell'aria, a distanza di 45 anni, la domanda che "The Ring", la più autorevole rivista pugilistica del mondo, lanciò in copertina. Si vede la foto di Nino in guardia e l'interrogativo: il più grande pugile italiano di sempre?
Nino vinse e perse, in alternanza, tre incontri con Griffith, incrociò memorabili e feroci lotte pugilistiche con Sandro Mazzinghi, quello dell'altra Italia. Dove Nino era Coppi, l'altro Bartali, uno era Mazzola, l'altro Rivera. Finì in croce sui pugni di Carlos Monzon, uno davvero più grande di lui.
Ma forse qualche indizio aiuta la risposta. Nino fece svegliare tutta Italia alle quattro del mattino, 18 milioni di persone seguirono alla radio la voce trepidante di Paolo Valenti, il servizio sveglia di Milano ricevette cinquemila prenotazioni, la Rai negò l'incontro in diretta con scusa («Non possiamo turbare il ciclo lavorativo degli italiani») da paese stalinista.
Ma l'Italia si svegliò, scoprì il valore di notte magica. Ricordo di cuore, tifo, costume italiano.
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