I Pm sono a rischio d’estinzione: nessuno vuole più indossare la toga

Il Csm lancia l’allarme: da nord a sud voragini nell’organico. Il professor Di Federico: «È ormai passata la moda del pool»

I Pm sono a rischio d’estinzione: nessuno vuole più indossare la toga

da Milano
Il grido di dolore è partito dal Csm: aiuto, non ci sono più pm. I numeri, specialmente sulla prima linea del Sud, sono da brivido: mancano quattro pm su cinque a Lucera, a Enna tre posti su quattro sono vuoti e 17 sono le poltrone abbandonate nel distretto di Palermo. Possibile? Dieci, forse quindici anni fa, c’era il giovane magistrato di belle speranze che si catapultava da Bolzano nel profondo Sud e poi legioni di aspiranti pubblici ministeri che tentavano orgogliosi il concorso nella speranza di diventare i nuovi Di Pietro. Oggi non è più così.
«O forse - nota Giuseppe Di Federico, professore emerito di ordinamento giudiziario all’università di Bologna - non è mai stato così». Forse, al di là della schiuma provocata dall’onda del manipulitismo, certe destinazioni difficili sono sempre state poco gradite alla casta in toga. «La verità - nota Di Federico - è che un tempo i magistrati di prima nomina venivano spediti nei luoghi più difficili del Sud. Non c’erano alternative. Oggi, invece, la legge impone il contrario esatto; i giovani devono cominciare la carriera in un collegio giudicante e volontari che considerano il lavoro una missione civile se ne vedono pochi».
I risultati sono quelli che fanno allarmare il Consiglio superiore della magistratura. Attenzione: i vuoti, talvolta le voragini, nell’organico sono al Sud ma anche al Nord. La procura di Piacenza ha il 60 per cento di posti vuoti, Pavia addirittura il 75 per cento, Acqui Terme, Biella, Alba e Casale Monferrato oscillano fra il 50 e il 67 per cento.
Le mode passano come le magliette del pool e le immagini che accostavano Di Pietro, Davigo e Colombo agli Intoccabili. «Allora - nota Di Federico - ai tempi del pool, oltre il 50 per cento dei giovani che entravano in magistratura volevano diventare pm, quando i pm sono solo un quinto del corpo della magistratura. E davano al loro impegno un significato messianico. Del resto il pm italiano è una figura forte, fortissima, senza equivalenti in Europa. Ma appunto - precisa lo studioso - era una moda, perché la corsa a non andare in certi luoghi c’è sempre stata».
Enzo Ferrari, preside della facoltà di giurisprudenza della Statale di Milano dal 2000 al 2006 e sociologo del diritto, cerca le radici del fenomeno fin dentro la società: «Diciamo la verità. Negli anni Novanta c’era la corsa a iscriversi a legge; qui a Milano siamo arrivati nel 2000 a 6mila matricole l’anno, poi i giovani hanno cambiato orientamento, hanno rivolto altrove le loro antenne, i numeri si sono dimezzati e anche di più. Non si arriva a quota 3mila mettendo insieme la Statale, la Bicocca e l’Insubria. Crescono, e crescono tanto, ingegneria, economia, informatica».
Il potere giudiziario non esercita più il fascino di qualche anno fa. «Io la vedo in tutt’altro modo - spiega Fabio Roia, membro del Csm e giudice a Milano - oggi il regime delle incompatibilità rende il percorso professionale più tortuoso, più arduo e allora restano scoperti i posti da pm». Perché queste difficoltà? «Prima, magari, il giovane alle prime armi era costretto ad andare in luoghi lontani e si attrezzava con il giusto entusiasmo; in ogni caso si considerava l’esperienza della pubblica accusa come utile per il curriculum e la progressione in carriera. Ora non è più così, anche per i paletti posti: se fai il pm a Milano e diventi giudice, immediatamente devi lasciare il distretto di corte d’appello e pure la Regione e devi andare a Piacenza o a Novara. E questo può comportare problemi logistici o innescare delusioni sul lato professionale».
Non basta. Roia intravede anche un altro fenomeno: «Ormai da anni si parla di separazione delle carriere. Già oggi le divisioni sono più marcate che in passato, ma in futuro la distanza potrebbe essere incolmabile. Dunque, molti colleghi mettono le mani avanti: meglio non rischiare di finire sotto l’esecutivo, meglio non scegliere una strada che potrebbe portare a svolgere una professione del tutto dipendente dagli orientamenti del governo». È così?
«Non ne sono convinto - ribatte Di Federico - a ogni svolta legislativa, attuata o anche solo annunciata, la corporazione risponde disegnando scenari apocalittici. O giù di lì.

Ecco dunque che si levano lamenti per scongiurare le riforme. Ma le riforme, le poche fatte, dimostrano proprio che certi miti non avevano fondamento». Di Pietro & soci hanno abbagliato una generazione. E soltanto quella.

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