da Milano
Da Milano a Torre Annunziata senza distinzione di colore politico, i giornali hanno battuto un colpo, anzi un grido, meglio due. Il primo suona così: il linciaggio del Giornale? Se mai, la testata diretta da Maurizio Belpietro andrebbe ringraziata, per aver pubblicato il nome di Silvio Sircana, il portavoce del governo Prodi finito suo malgrado nellinchiesta di Vallettopoli per quelle fotografie che lo immortalano in auto mentre affianca un transessuale. Il secondo grido è il coro indignato di chi si unisce alle parole di Belpietro, due giorni fa: «A nostro parere non cè motivo che Sircana se ne vada. Chi deve andarsene, e in fretta, è colui che ha organizzato loperazione bavaglio. Un Garante della privacy che garantisce solo quella del portavoce del governo non è degno di ricoprire il ruolo affidatogli dallo Stato. E con lui se ne devono andare i suoi ispiratori».
Chi se laspettava, per dire, che identiche parole avrebbe usato il giorno dopo sulla Stampa Riccardo Barenghi lex direttore del Manifesto. E invece: «Sircana, per quanto ci riguarda, potrebbe restare al suo posto. Chi invece al suo posto non dovrebbe restare è il Garante per la privacy, Francesco Pizzetti». Perché, ecco, la domanda che in queste ore sempre più giornalisti si pongono è: dovera il difensore del diritto alla riservatezza quando sui giornali finivano, a centinaia, i nomi della metà del mondo non politico?
Scrive per esempio, rivolto a Pizzetti, il direttore Enrico Pirondini su La Provincia di Cremona: «Se, invece di Sircana, ci fosse stato di mezzo un poverocristo, lei sarebbe stato così tempestivo? E quando in prima pagina di certi fogli finivano ragazzotte generose e centravanti bamba, lei dovera?». Eh, dovera: «Non cera e se cera dormiva - ringhia Barenghi -. Si è svegliato solo al momento giusto (per lui), quando sotto tiro è finito il portavoce del presidente del consiglio». Pizzetti deve aver letto La fattoria degli animali di Orwell, aggiunge, «la parodia dello stalinismo in cui tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali. Peccato solo che non ne abbia colto il sarcasmo». Feroce. Come Giorgio Gandola il direttore della Provincia di Como, che non si scandalizza, nessuno lo fa, degli affari personali di Sircana, ma difende la scelta del Giornale di pubblicarne il nome: «Se quelle foto esistono (e ci fidiamo di Maurizio Belpietro quando dice che sono cinque e le sta guardando sulla scrivania) e dalluso di quelle foto si sospetta - anche solo si sospetta - che ci possa essere un ricatto, ebbene la faccenda non riguarda più Sircana e sua moglie. Riguarda lo Stato, riguarda la libertà di chi ci rappresenta. Riguarda tutti». Che poi: «Se non ci fossero state le intercettazioni, e se non ci fossero stati giornali in grado di pubblicarle, quando mai avremmo saputo che Bankitalia giocava partite finanziarie, che Fassino voleva una banca, che Moggi comprava i campionati di calcio, che i furbetti del quartierino scalavano giornali con metodi creativi e che siamo tutti intercettati?».
Si spinge oltre Pirondini: «Belpietro? I politici (molti) gli devono un grazie in formato cinemascope. Perché tirando fuori subito il nome di Sircana ha impedito che molti (moltissimi) diventassero sospettati. Sai che festival! I camerieri del Palazzo lo hanno invece crocifisso. Spero che lOrdine dei giornalisti della Lombardia non si accodi a questa indegna processione. Perché se passano i censori, chiudiamo tutti bottega. La democrazia per prima». Una provocazione viene poi dal direttore editoriale del settimanale Vita, Riccardo Bonacina: «Sircana santo subito» se finalmente si farà la dimenticata legge «contro queste porcherie».
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