Gioia Locati
Da quella volta che volevano chiamarsi Jaguars e si accorsero alla casa discografica che cera già un gruppo con quel nome. Così seguirono la proposta della segretaria che aveva sulla scrivania lorsetto di peluche Winnie The Pooh e butto lì: «Perché non vi chiamate Pooh?». A quella volta che entrarono in un pornoshop a cercare il sistema per far muovere la luce del laser. A quellaltra che a momenti incendiarono il palco dopo aver cosparso tutto di brillantina «per creare una coltre bianca».
Ricordi e aneddoti dei Pooh: le tappe di una carriera lunga quarantanni raccolti da Sandro Neri ne La grande storia. 1966-2006 (Giunti, 25 euro), 288 pagine e oltre 600 foto in buona parte inedite. Lautore è un giornalista terribilmente innamorato dei Pooh (per lui sono «i Beatles italiani»), ovvio che conosca il complesso meglio di quanto si conoscano loro stessi. Scrivono gli autori nella prefazione: «Benché ai tempi in cui Piccola Katy scappava di casa il nostro amico ancora pendesse dalla labbra della cicogna, già di suo sulla nostra avventura lui ne sapeva forse più di tutti noi». E Neri ha riconosciuto: «È capitato durante le interviste - che Roby, Stefano, Dodi, Red e Valerio mi hanno chiesto di fare singolarmente per non influenzarsi lun laltro - che mi dicessero non ricordo questo particolare, ne sei sicuro?».
Il libro racconta cosa cè dietro le canzoni, cerca di spiegare perché il gruppo ha avuto così successo: caso unico in Italia, ha saputo attraversare tutte le epoche dal beat in avanti. «La loro qualità più grande è il rigore. Sono cantanti gran lavoratori - ha confidato Neri -. Mi ha stupito leggere tutto quello che hanno riportato sui quadernoni, ogni foglio dedicato a un giorno dellanno, cerano le spese, dalle 10mila lire per la benzina alle uscite per i panini. E la voce «cose da pensare, qui ho trovato frasi tipo: andare a comprare il fondale per il palco oppure modificare gli strumenti. Dietro alle loro canzonette cè di fatto molta sperimentazione». Il complesso, che ha esordito a Bologna negli anni Sessanta, è stato il primo a utilizzare gli effetti speciali, a capire limportanza di giochi di luci e fumi per accattivarsi il pubblico. Anzi per «tenerlo seduto». «Sì perché ai tempi dei loro esordi la gente non era abituata ad ascoltare musica o canzoni dalla poltroncina - ha raccontato Neri -. Cerano le balere dove si andava a ballare. I Pooh sono stati i pionieri del concerto classico, hanno portato in Italia lo stile dei Genesis e dei Pink Floyd». Da qui lo studio delle coreografie. Per unesibizione nel Modenese, anno 1974, Stefano DOrazio acquistò al teatro alla Scala timpani sinfonici e campane tubolari e così arricchì la batteria. E che dire di quel «giovane tornitore, Renato Neri (che non è parente dellautore ma è lex marito di Stefania Craxi), futuro regista delle luci dei Pooh e poi fondatore della Xenon che girava con vetrini pieni di gocce di china che, inseriti in un proiettore per diapositive, creavano macchie in movimento o immagini di fulmini»?
Infine un particolare rimasto «top secret» fino alluscita del libro: nel 1996 i Pooh affrontarono la vera crisi, dopo trentanni furono lì lì per separarsi. A scatenare le incomprensioni un brano di Amici per sempre.
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