I precedenti Il «patto della crostata» e il naufragio delle commissioni Bicamerali

Non è la prima volta che centrodestra e centrosinistra cercano un’intesa sulle riforme istituzionali. La prima Bicamerale per le riforme fu varata il 12 ottobre 1983: a presiederla il liberale Aldo Bozzi. La Dc voleva l’elezione diretta del premier, il Psi lo sbarramento al 5%. Si delineò la prima ipotesi di bicameralismo imperfetto e di riduzione del numero dei parlamentari. Tutto inutile. Nel 92-93 il secondo tentativo con la Bicamerale guidata da Ciriaco De Mita prima e da Nilde Jotti dopo la bufera Tangentopoli che ne dimezzò i componenti. Poi il Parlamento venne sciolto. Ma il precedente più illustre porta il nome di «patto della crostata». Era il 18 giugno 1997: la commissione Bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta da Massimo D’Alema, rischiava di finire in un vicolo cieco. A casa di Gianni Letta, alla Camilluccia a Roma, vennero allora invitati lo stesso D’Alema (Pds) e Franco Marini (Ppi) per l'Ulivo; Berlusconi (Forza Italia) e Gianfranco Fini (An) per il Polo. Attorno alla crostata che, secondo una tradizione mai ufficialmente confermata, venne preparata dalla signora Letta come dolce per chiudere il pasto ottenendo l’unanimità dei consensi, fu raggiunto un patto: governo di tipo semipresidenziale e legge elettorale maggioritaria a doppio turno. La Bicamerale partorì un testo di riforma organica che venne però letteralmente sommerso dagli emendamenti: 42mila.

La rottura arrivò sui poteri di scioglimento delle Camere da parte del capo dello Stato. Berlusconi si chiamò fuori, Fini lo seguì. D’Alema criticò il Cavaliere («insegue disegni neocentristi» fu l’improvvida accusa) e rinviò la bozza. Il 2 giugno 1997 la Bicamerale chiuse i battenti.

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