Monica Marcenaro
da Milano
Increduli, contrari, scettici. Pur appartenendo a ospedali diversi, le reazioni dei medici sono tutte sulla stessa lunghezza d'onda. Almeno tra quei camici bianchi con la carica di primario che rischiano di finire sotto la scure del ministro della Salute, Livia Turco. «Non capisco perché un provvedimento del genere debba riguardare solo le posizioni di vertice», è il primo commento di Luca Balzarini, capo sezione di radiologia dellIstituto clinico Humanitas di Milano. «Sono i corsi e i ricorsi dellideologia», aggiunge Claudio Mencacci, primario di psichiatria allospedale Fatebenefratelli del capoluogo lombardo. «Verrà premiato e farà carriera non il migliore, ma solo il medico che sceglierà il servizio pubblico», rincara Ermanno Leo, direttore della chirurgia dellapparato digerente dellIstituto nazionale dei tumori di Milano. «Se davvero il governo vuole andare in questa direzione, deve investire per rendere gli spazi ospedalieri dedicati alla professione privata, cioè allintramoenia, in linea con i tempi e con una clientela che, scegliendo di pagare, pretende determinati standard», sintetizza Roberto de Franchis, direttore di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva del Policlinico universitario milanese.
Perplessi. «Non capisco perché siano chiamati a scegliere tra pubblico e privato solo i dirigenti - precisa Balzarini - e che a pagarne le spese, quindi, sia solo una parte dei medici. Un provvedimento del genere, sulla falsariga di quello varato dallex ministro Bindi dieci anni fa, mi può anche stare bene, a patto che non faccia distinzioni in funzione del grado, ma coinvolga tutti primari, aiuti e assistenti».
Polemici. «Ancora una volta la demagogia della salute per tutti - incalza Mencacci - impoverirà il pubblico dei suoi elementi migliori perché i nomi prestigiosi, le persone più capaci, gli elementi di attrazione dellospedale lasceranno il loro posto a chi non si sa, ma di certo con un numero di galloni inferiore. E i pazienti, che potranno permetterselo, li seguiranno». «Lesclusiva imposta dal ministro Bindi, secondo i dati forniti dallAgenzia sanitaria stato-Regioni, costa ogni anno mille e cinquecento milioni di euro, - aggiunge Ermanno Leo - per le maggiori indennità pagate ai medici e per le convenzioni tra ospedali e studi privati, convenzioni che sono state necessarie tutte le volte che le strutture pubbliche non erano dotate di spazi adeguati alla professione intramoenia. Costi che lieviteranno e che danno la misura di quanto distorto sia un meccanismo che premia non il più bravo, che di fatto verrà retrocesso, ma solo chi sceglie lesclusiva con il pubblico. Poco importa la sua professionalità».
Scettici. «Mi sembra uniniziativa un pointegralista, in linea di principio condivisibile, ma da dieci anni a questa parte la maggior parte degli ospedali pubblici non ha fatto nulla. Lescamotage delle convenzioni tra nosocomio e studio privato poteva essere giustificato dallemergenza, ma non è una soluzione sostenibile nel tempo.
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