Un paradossale esercizio di fantapolitica può forse aiutarci a capire meglio le ragioni dell'attuale scontro tra le due sponde dell'Atlantico. Immaginiamo che, più o meno verso la metà del Novecento, un terribile regime nazista si sia impadronito degli Stati Uniti d'America. Così la Grande Europa (da tempo unita) passato un iniziale periodo di esitazione isolazionista, decise di intervenire per salvare gli Usa e, con essi, l'intero pianeta. Centinaia di migliaia di ragazzi partirono da Parigi, Berlino, Roma, Madrid per andare a combattere e morire in quelle terre lontane. In nome di una parola tanto astratta quanto seducente: libertà. E molti dei loro corpi riposano ancora nelle terre d'oltreoceano. Il regime nazista fu sconfitto. Ma gli Usa si trovarono ridotti alla rovina economica e sociale. Perciò la Grande Europa, con il piano Erhard-Einaudi, intervenne con ingenti e generose risorse economiche per risollevare l'America dal baratro in cui si era cacciata. La Grande Europa offrì inoltre agli Usa anche lo scudo di un'alleanza militare per evitare che tragedie del genere potessero ripetersi. Fu chiamata Nato. Da allora, il mondo non fu più lo stesso e la parola libertà sembrò sempre meno astratta.
Ebbene, non passarono neanche vent'anni che accadde qualcosa di inaspettato. Le piazze di New York e di Detroit, di Los Angeles e Filadelfia cominciarono a riempirsi di giovani e meno giovani che, immemori della storia appena trascorsa, denunciavano, a volte in modo violento, "l'imperialismo europeo", reo di attentare alla libertà di tutti i popoli del mondo. Fu persino coniata l'espressione "altra Europa" per distinguere tra una classe dirigente arrogante e la "purezza" della società da essa oppressa. Si trattò di un fenomeno assai diffuso: venne battezzato "antieuropeismo" e influenzò da allora la cultura di larghissimi strati della società americana. Nonostante tutto, però, l'alleanza tra la Grande Europa e gli incertissimi Stati Uniti resse: anche e soprattutto perché Washington si sentiva comunque rassicurata da ogni punto di vista (militare, politico, economico) dalla presenza dell'"ombrello protettivo" della Grande Europa. Una comoda e gratuita "protezione". Fino a che la Storia non voltò pagina: la Grande Europa, sempre meno interessata strategicamente agli Usa (impegnata piuttosto a "confrontarsi" con la Cina), cominciò a mostrare evidenti tentazioni di disimpegno. Così, per decenni, chiese agli Usa di contribuire in modo più significativo alle spese della Nato, ricevendo sempre risposte dilatorie. Della serie: tu mi difendi e io non pago niente. Per di più era ormai evidente che negli Usa prevaleva una cultura pubblica sempre più lontana dai valori di quella comune civiltà che era stata chiamata, con suggestiva espressione, "occidentale" ma che veniva da tanti contestata come "neocoloniale" e dileggiata in nome di un nichilismo etico che vagheggiava la postmoderna necessità di "non credere in niente".
Ebbene, uscendo dalla distopia, chiediamoci: se la storia fosse andata davvero così, cosa penseremmo oggi degli Usa? Diciamo la verità: forse proprio quello che Trump pensa di noi. Perché allora ci stupiamo così tanto dei suoi giudizi? Sono davvero privi di ogni ragione? E poi: non era già chiaro, da Obama in poi, che Washington non considerava più quella con noi un'alleanza di ferro? E come, infine, non mettere nel conto che decenni di risentimento verso la nostra postura parassitaria (e ingenerosa) avrebbero potuto prima o poi determinare una frattura? Se tutto ciò è vero (come è vero) è allora assolutamente inutile oggi demonizzare il "cattivo Trump" (che certo non si esprime quasi mai come uno statista) e pretendere che l'Unione europea gli mostri il "viso dell'armi" come molti predicano. No, non si diventa improvvisamente forti solo alzando la voce. Piuttosto occorre con pazienza elaborare una nuova strategia con tre mosse cruciali. La prima: trovare le risorse per difendere l'Ucraina fino alla fine, rivendicando la continuità dell'alleanza con gli Usa al fine di poter offrire a Kiev solide garanzie di sicurezza. La seconda: accelerare di molto i tempi della costruzione di un'autonoma difesa europea.
La terza: cominciare a discutere seriamente di come far diventare nel tempo l'Unione una vera potenza politica. Il che vuol dire riformarne l'architettura istituzionale. Insomma, è' tempo di riconoscere i propri errori storici e di agire. Non di esibire infantili rancori.