I rifiuti di Torino La Signora ha perso l’appeal

di Tony Damascelli
I rifiuti di Torino sono l’ultima novità del mercato calcistico. Non trattasi, ovviamente, di immondizia o rumenta, come si dice in dialetto turineis, ma dei calciatori professionisti di fatto che hanno rifiutato il passaggio, o soltanto l’idea del trasloco, alla Juventus. In ordine sparso figurano in elenco Trezeguet, per ultimo dalla Spagna con livore «Ritornare? No, sto bene qui», Borriello «Mejo aaaRoma», Di Natale «Mai pensato ai vestire il bianconero eccetto quello friulano», Burdisso «Milano y Roma siempre ma la Giuve nunca», Kaladze «Piuttosto la Georgia», Dzeko «Vado sull’isola del tesoro piuttosto che nella città senza denari»; Floro Flores il più odiato dai gentili tifosi juventini. Tralascio i «no» pervenuti all’indirizzo medesimo nelle stagioni passate (tipo Frings). La Juventus ha perso il fascino antico, Torino non è più l’approdo sognato o lo è per chi altrove non aveva più speranze e progetti ed è stato quindi spedito altrove (Luca Toni basta e avanza ma perché dimenticare Andrade o Grosso, Grygera o Rinaudo?).
Remoti i tempi in cui chi diceva no alla Juventus veniva inseguito anche sull’isola, accadde a Pietro Paolo Virdis assediato in Sardegna dai giornalisti ma soprattutto da Giampiero Boniperti che piazzò il proprio fisico tenace e la propria testa cocciuta da juventino vero dinanzi al ragazzo sassarese fino a convincerlo, facendogli sottoscrivere il contratto nello scantinato di un negozio di Santa Teresa i Gallura. Ditemi chi, della Juventus contemporanea, sarebbe capace, per perizia e personalità, di compiere un’operazione del genere? Giuseppe Marotta? Andrea Agnelli? Fabio Paratici? Jean Claude Blanc? Carlo Barel di Sant’Albano? Pavel Nedved (il cui ruolo è ancora tutto da comprendere)? Non ci sono più gli scantinati di una volta e dunque la Juventus si ritrova prigioniera del proprio presente così come ha cercato sbrigativamente e volgarmente di liberarsi del proprio passato. Qualunque professionista avrebbe accettato di giocare con la maglia del club bianconero, qualunque professionista oggi ci pensa e ci ripensa, lo stemma del casato non conta più, la caduta dell’impero ha provocato traumi tecnici e poi patrimoniali, le chiacchiere sono mille e i soldi molto meno.

La realtà nuova è un ostacolo al lavoro per Marotta, le prospettive possono dare fiducia alle strategie dei membri del consiglio di amministrazione ma non ai calciatori che hanno bisogno, nella loro prosaicità, di dati certi, sporchi e immediati. Verranno giorni migliori. E calciatori.

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