I due discendenti in linea diretta dei Savoia regnanti - Vittorio Emanuele e il figlio Emanuele Filiberto - chiedono alla Repubblica, ossia ai contribuenti italiani, 260 milioni di euro a titolo di risarcimento per il lungo esilio sofferto. Secondo listanza le misure adottate nei confronti dei Savoia hanno violato i diritti fondamentali delluomo, così come sono fissati in una convenzione europea del 1948.
Liniziativa è parsa ai più non solo azzardata - per usare un eufemismo - ma anche legalmente sballata. Nel luglio del 2002 Vittorio Emanuele, mentre chiedeva che fosse abrogato il divieto allingresso in Italia per sé e per il figlio, garantiva in cambio la rinuncia a insistere in un ricorso già presentato alla Corte europea di Strasburgo. Del che presero atto sia il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi sia il ministro per i Rapporti con il Parlamento Carlo Giovanardi. Questultimo bollò come fantasiosa lipotesi di richieste da parte dei Savoia.
Sui termini giuridici e cavillosi della questione si eserciteranno sapientemente gli esperti di diritto nazionale e internazionale: e si pronunceranno, immagino, giudici importanti. Questo tipo di vertenze li manda in estasi. Devo invece dire che la specifica vertenza di cui si tratta suscita nella generalità degli italiani un sentimento di indignazione e di stupore insieme. Indignazione per il meschino uso che vien fatto a fini di lucro - e sia pure con la promessa di destinare il ricavato ai bisognosi - dun tragico patrimonio storico del Paese. Stupore quasi ammirato - certi vertici di sfrontatezza sono da Guinness dei primati - per la baldanza con cui un erede presuntivo al trono, noto non favorevolmente alle cronache, discute deredità non dinastiche ma pecuniarie.
Vittorio Emanuele parla di danni, di sofferenze. Non possiamo escludere, anche se le apparenze porterebbero a farlo, che la lontananza dalla terra dei padri sia stata per lui un tormento esistenziale. E non intendiamo addebitare a questo rampollo impacciato gli errori della monarchia, così come non glie ne accreditiamo, ci mancherebbe, le glorie. Non mancano ai due principi, anche senza lapporto di 260mila euro, mezzi di sostentamento, inutile proporre in loro favore la legge Bacchelli. Sono anche azzardati gli accostamenti ad altri esuli, come Giuseppe Mazzini, e ad altre vittime di violazioni dei diritti umani, come i martiri dello Spielberg, o per passare a tempi più recenti, come gli ebrei perseguitati. Che lo furono anche in forza di leggi firmate dal nonno di Vittorio Emanuele.
Non vorrei essere frainteso. Ho grande rispetto per il ruolo della casa Savoia nel cammino verso lunità dItalia. Ma ne ho altrettanto, almeno, per i lutti, le pene, le umiliazioni, le spoliazioni che questa povera Italia subì a causa duna guerra che fu dichiarata con documenti firmati dal re. Le dinastie hanno una continuità che in determinate circostanze diventa corresponsabilità. I successori devono accettare tutto, non è molto elegante che rivendichino i beni materiali acquisiti dalla casata in quanto tale, e per il resto si chiamino fuori.
Tuttavia molto tempo è trascorso dalle tragedie che ho citato. Evitiamo di quantificare i danni materiali e morali patiti dal Paese per una guerra perduta, ammettiamo che le colpe dei padri e dei nonni non ricadano su figli e nipoti, nemmeno in una dinastia reale. È lecito tuttavia chiedere ai discendenti un tantino di misura. È lecito chiedere che, abituati come sono a far valere il loro lignaggio, ne diano fede in un comportamento decente. È lecito chiedere che non pensino soltanto - nel momento in cui avanzano pretese dindennizzo - al disagio dun pluridecennale soggiorno svizzero, ma pensino ai molti, ai moltissimi soldati italiani il cui nome è ricordato da una croce, quando cè, in Italia o fuori dItalia. Per ciò che la monarchia ha rappresentato, per la simpatia che mi ha ispirato Umberto II le volte che lho visto e che gli ho parlato, preferirei non toccare temi sgradevoli.
Mario Cervi
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