I segreti delle Procure in mano a Telecom

È normale che i dati sensibili e protetti da segreto istruttorio delle procure e dei tribunali d’Italia possano essere visti e consultati da semplici operatori di call center? E normale che il registro generale su cui i magistrati iscrivono gli indagati possa essere «aperto» all’esterno degli ambienti giudiziari? È normale che questi operatori esterni che fungono da tecnici dell’assistenza anziché essere interni alle procure (come fino a oggi accadeva) siano invece distaccati altrove, lontani dai palazzi di giustizia, in anonimi centralini? È normale che i signori magistrati affidino a trattativa privata, senza gara, per importo di 21milioni e rotti di euro, il servizio di assistenza ai loro sistemi informatici? Ed è normale che questo contratto venga affidato in questo modo a Telecom Italia nel mentre è ancora pendente l’inchiesta sui vertici dell’azienda telefonica che - secondo la procura di Milano - avrebbero commesso illeciti proprio nella gestione di dati sensibili con intrusioni nei computer di soggetti considerati «nemici» della stessa Telecom? Se sia normale oppure no, non spetta a noi dirlo. La realtà è che con circolare ministeriale del 21 settembre 2009 indirizzata a tutti i presidenti delle corti d’appello e a tutti i procuratori generali d’Italia, il direttore generale dei servizi informativi automatizzati del ministero della Giustizia, magistrato (fuori ruolo) Stefano Aprile, comunicava che «a decorrere dal 28 settembre questa direzione ha affidato a Rti (raggruppamento temporaneo d’impresa, ndr) composto da Telecom Italia, Elsag Datam Spa, Engenering Informatica Spa - il servizio di assistenza applicativa ai sistemi informatici in uso ai sistemi giudiziari». Il direttore generale aggiunge nero su bianco che il contratto è di «quasi tre anni» (quasi?) e che è «complementare» al servizio di assistenza sistemistica già affidato alla Rti. Tra le righe dice che «è in corso il progetto di dispiegamento degli strumenti di gestione remota delle postazioni e dei server che potranno essere impiegati anche per la risoluzione delle problematiche applicative». Un modo un po’ contorto e burocratico per rispondere alle domande di cui sopra. Dove il termine «complementare» sembra voler giustificare il ricorso alla trattativa privata per un importo così consistente, e dove l’espressione «è in corso il progetto di dispiegamento degli strumenti di gestione remota» serve a spiegare la modalità tecnica del servizio di assistenza per cui la «Rti eroga il servizio prevalentemente in modalità remota». Ma che vuol dire remoto? Vuol dire che da un centro esterno, di proprietà della Telecom, si può accedere direttamente ai fascicoli dei magistrati, ovviamente per opere di manutenzione e interventi tecnici. Al di là delle perplessità sulla sicurezza delle notizie contenute sul registro degli indagati e sui fascicoli dei pm, quale conoscenza ha Telecom dei sistemi di proprietà del ministero della Giustizia? Quale personale invia negli uffici dei magistrati quando il problema può essere risolto solo con un intervento materiale sul pc del sostituto procuratore? Semplice: Telecom fa il general contractor: acquisisce l’appalto e lo subappalta alle stesse aziende che, fino a ieri, lavoravano sui sistemi informatici direttamente con le procure, ma dall’interno degli uffici giudiziari.
Se Telecom prende l’appalto e ridistribuisce il lavoro alle aziende che da anni svolgevano detto servizio, dov’è il vantaggio? Si dirà che il costo totale pagato è inferiore, e di questi tempi non è cosa da poco. Si dirà, anche, per correttezza che i servizi sono ridotti (meno costo, meno prodotto) e che dunque il risparmio sembra essere relativo.

Domanda: ma se il magistrato direttore generale trattava gli stessi servizi direttamente con le aziende che già facevano questo lavoro, forse poteva raggiungere un costo ancora inferiore. O forse, no. Da questo appalto, si presume, Telecom guadagnerà qualcosa. Non credo si accontenti dell’accesso ai dati sensibili delle inchieste e coperti dal segreto istruttorio.

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