I sei anni di calvario di un burocrate innocente

Sei anni d’inferno per colpa di una inserzione pubblicitaria. Sei anni in cui Giuseppe Serra, dirigente amministrativo dell’Anas della Lombardia, si è visto arrestare, privare del lavoro, distruggere la carriera, condannare. E solo alla fine assolvere da una sentenza definitiva della Cassazione che azzera tutte le accuse mosse contro di lui, definendo «veramente singolare» il fatto che si sia trascinato sul banco degli imputati - insieme al folto gruppo di dirigenti Anas dalla mazzetta facile - anche chi con il malcostume degli appalti truccati non aveva niente a che fare.
Eppure fin quasi dall’inizio dell’inchiesta c’era, tra gli atti a disposizione dei magistrati, una testimonianza che diceva semplicemente ed esplicitamente: «Con questa faccenda Serra non c’entra nulla». Ma l’uomo che non c’entrava nulla da questa storia ha rischiato ugualmente di uscire distrutto.
Quando nel 2003 - grazie alle rivelazioni di una «gola profonda» - un’ondata di manette travolse i vertici dell’Anas di Milano furono in molti a tirare un sospiro di sollievo, tanto abituale e quasi ossessiva si era fatta la prassi di riscuotere tangenti sui lavori stradali e di truccare le gare, stabilendo fin dall’inizio chi - tra le imprese affiliate al «cartello» - dovesse aggiudicarsi l’appalto. Uno a me, uno a te, uno a lui, e il cinque per cento fisso ai nostri amici nel compartimento Anas.
A inghiottire Serra nel gorgo dell’indagine fu uno dei tanti capitoli: quello sulla frana che all’inizio del maggio 2002 aveva travolto un intero tratto di strada sulla Statale 394 a Maccagno, nel varesotto, bloccando totalmente la circolazione. Per ripristinare l’arteria, l’Anas aveva ottenuto dal governo - vista la situazione d’emergenza - il via libera ad una procedura eccezionale, senza gara d’appalto. E su quell’appalto si erano allungate le mire di una delle società più «benvolute» dai vertici dell’Anas lombarda, la Cic: benvoluta per il semplice motivo che socio «ombra» della Cic era un consigliere d’amministrazione dell’Anas stessa. Quella volta alla Cic il colpo non riesce, i lavori vengono affidati ad una società concorrente. Ma quel tentativo di trucco finisce ugualmente nel mirino dell’inchiesta.
Ed è qui che entra in scena l’incolpevole Serra. Perché gli investigatori sostengono che l’escamotage per addomesticare la gara d’appalto fu quello di pubblicare il bando in modo quasi clandestino: non su un grande giornale nazionale, ma solo su una piccola testata locale, il Corriere del Verbano, in modo che solo le imprese della zona ne venissero a conoscenza. Serra finisce in carcere, con l’accusa di avere scelto le modalità di pubblicazione del bando, nonchè di averne anticipato i contenuti ad uno degli interessati. Quindici giorni di carcere, tre mesi di arresti, carriera devastata. In primo grado viene condannato. In appello lo assolvono ma la Procura generale non lo molla, ricorre in Cassazione. E solo dalla Cassazione arriva la sentenza che porta Serra - difeso dall’avvocato Marco Brignano - fuori dal tunnel. Facendo semplicemente notare che non era stato affatto Serra a scegliere il giornale su cui pubblicare l’annuncio, e che in ogni caso l’Anas avrebbe anche potuto non pubblicare nulla, e assegnare i lavori senza gara.
«Appare veramente singolare che si continui a contestare al Serra di avere ristretto la pubblicazione dell’avviso di gara al solo quotidiano locale quando poteva essere esclusa ogni forma di pubblicità».

E la scelta del Corriere del Verbano fu dovuta all’esigenza di coniugare «esigenze di speditezza» e di «informazione alle aziende più interessate ad aggiudicarsi i lavori, quelle locali ma vi è un argomento decisivo che la sentenza del tribunale ha trascurato, ed è che non è al Serra che si debba risalire per individuare il responsabile che limitò la pubblicazione». Ma ad un altro dirigente dell’Anas, che aveva ammesso da tempo di essere stato lui...

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