Matteo Buffolo
Vedendoli nelle loro riserve in Florida, vestiti con gli abiti tradizionali mentre si muovono fra i chickee, le abitazioni su palafitte che hanno iniziato a costruire nell’800 durante la guerra con l’esercito degli Stati Uniti, nessuno penserebbe di trovarsi davanti a un potentato economico.
Quella dei Seminole, una tribù di indiani d'America, è una piccola nazione di 12.000 persone, divise fra 5 riserve, la cui fortuna è iniziata nel 1920, col boom del turismo in Florida, quando si facevano pagare per lottare con gli alligatori. La svolta nel 1979, quando furono i primi ad aprire un casinò nelle riserve indiane, cogliendo al volo l'occasione offerta dal governo di Washington e aprendo la strada a molte altre tribù. Perché, di certo, ai Seminole l'intraprendenza non manca: da allora, infatti, hanno continuato a prosperare sul gioco d'azzardo e sulla vendita di tabacco nei loro duty-free. Fino a quando, nel dicembre del 2006, non sono entrati nel mondo del business globale, comprando un marchio ormai notissimo, quello degli Hard Rock Café: 965 milioni di dollari spesi per acquistare 143 locali sparsi in 36 Stati, uno anche a Roma in via Veneto.
Fra casinò, ristoranti e alberghi, oggi hanno raggiunto ricavi per oltre 2 miliardi di dollari, poco più di 1 miliardo e 300 milioni di euro, che promettono di crescere di circa il 15% l'anno e di cui una parte consistente finisce a finanziare le scuole, gli ospedali e qualunque altra cosa serva alla comunità. La regola è semplice: i profitti realizzati in tutto il mondo tornano in Florida e vengono investiti nella crescita del patrimonio della tribù e in progetti di beneficenza.
Si spiega così una caratteristica che li distingue: i Seminole non hanno le tasse. «È una parola che nella nostra lingua, semplicemente, non ha traduzione» ha detto qualche giorno fa ridendo Max Osceola, rappresentante del consiglio della tribù, arrivato a Parigi per parlare dei nuovi progetti europei degli intraprendenti indiani. Di recente, puntando anche su partner finanziari e i loro fondi, i Seminole hanno deciso di crescere ancora: nel prossimo futuro, secondo quanto ha detto Osceola a Parigi il 22 maggio, sbarcheranno in Europa esportando la loro catena di alberghi di lusso nelle principali capitale europee, partendo proprio dalla capitale francese, da Londra e da Madrid.
Certo, non è tutto oro ciò che luccica: alla base della fortuna dei Seminole, che con la loro strenua resistenza tanto hanno fatto sudare il presidente Andrew Jackson, sta nel godere di un regime di extraterritorialità, che li libera dal dover rispondere alle leggi della Florida sulla vendita di tabacco e sul gioco d'azzardo, approfittando di un'applicazione estensiva del trattato del 1923 che riconobbe la loro indipendenza. Sul tema le polemiche non sono mancate, soprattutto quando, per acquisire il gruppo Hard Rock, i Seminole hanno emesso obbligazioni per 415 milioni di dollari: per loro, ovviamente, liberi da tassazione, cosa che non ha fatto fare salti di gioia al governo americano, che ha aperto un'inchiesta per evasione fiscale. E non è soltanto Washington ad aver trovato motivi di frizione: un altro gestore di case da gioco, la Cordish Company, e Donald Trump hanno avuto scontri con il potentato economico indiano e il governo della Florida continua a negare loro l'autorizzazione per aprire case di gioco in stile Las Vegas.
Nonostante le polemiche, per l'ex colonia spagnola i Seminole non sono diventati solo una grande risorsa, ma anche un simbolo. La loro bandiera, a righe bianche, gialle, rosse e nere e con al centro uno stilizzato chickee, è stata adottata dalla Florida State University (Fsu) e diverse squadre sportive dei college e delle high school usano proprio Seminole come soprannome.
Il legame è così forte che anche quando la National Collegiate Athletic Association decise di proibire i loghi e i nomi indiani per le bande, le cheerleeder e le mascotte delle squadre ritenendoli offensivi, per la Fsu è stata fatta un'eccezione, con l'approvazione dei Seminole stessi.
Gli scambi fra le riserve e la Florida, infatti, sono continui e non sono solo di tipo economico: in uno dei loro territori, 150 ettari al confine nord dell'Everglades national park, a circa 70 chilometri da Miami, il Consiglio della tribù ha fatto costruire The indian village, una copia perfetta dei loro antichi villaggi dove insegnano a turisti e studenti lo stile di vita degli indiani nell'America precolombiana. Di certo, da allora una cosa non è cambiata: le tasse continuano a non pagarle.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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