Gianluigi Nuzzi
da Milano
Se nessuno libera Clementina Cantoni, se la trattativa finisce sul binario morto ogni giorno per poi rianimarsi, se il blitz dei reparti speciali è stato scartato, lo si deve fondamentalmente a due motivi: al disastro della liberazione di Giuliana Sgrena e a Timor Shah, il talebano che sarebbe il rapinatore della giovane volontaria milanese. Incomprensioni ed errori su più fronti accumulati con il caso di Nicola Calipari hanno di fatto messo allangolo chi nella nostra intelligence e al ministero degli Esteri, animava il fronte dei falchi, di chi suggeriva, nemmeno tanto convinto, un intervento militare per snidare Shah e i suoi possibili complici. Si voleva infatti individuare il covo tramite i cellulari, i tracciati telefonici e magari telematici, localizzare la banda, ritagliare i ruoli, scoprire e assaltare la prigione di Clementina per liberarla.
Ma le variabili messe sul tavolo operativo dal governo di Kabul, dai negoziatori italiani e dagli analisti riduce così lipotesi dellintervento dei reparti speciali a mera prospettiva scolastica. Non cè infatti alcuna certezza che Clementina si trovi nel luogo dal quale «trasmette» al ripetitore il cellulare utilizzato per i negoziati. Anzi, si ritiene che ci siano più «basi operative» dellorganizzazione, e più rappresentanti della stessa.
Non cè alcuna certezza che Shah non abbia rapporti con chi a nome suo, millantando o dicendo il vero, sposta il piano della trattativa cercando di disorientare gli interlocutori. È come se un giorno venisse chiesto del denaro, un giorno somme inferiori con la liberazione di alcuni detenuti, un giorno solo la scarcerazione di alcuni criminali arrestati per reati comuni. Nei servizi militari cè chi osserva che qualche sciacallo - senza alcun contatto con i rapitori o con rapporti precedenti - vorrebbe giocarsi una partita parallela.
Di fronte a un quadro così instabile, si introduce unulteriore variabile dagli aspetti contraddittori. Il fatto che i rapitori non facciano parte di organizzazioni terroristiche, da un lato facilita potenzialmente le trattative, dallaltro le inclina. È infatti notorio che chi non è animato da odi viscerali o coinvolto in partite più ampie, in pratica chi è legato a tornaconti economici o a contropartite non ideologicizzate, sia più disponibile a chiudere la trattativa. In altre parole dovremo essere di fronte a soggetti più avvicinabili, più logorabili rispetto ai tagliagole di Al Qaida.
Ecco forse spiegate azioni di disturbo introdotte, come quelle al villaggio Janan, a 40 chilometri dalla capitale, dove la polizia di Kabul ha compiuto perquisizioni per trovare qualcuno che li portasse alla prigione di Clementina Cantoni. Hanno dato esito negativo, invece, le perquisizioni e i controlli effettuati nel quartiere di Kartenaw, nella zona a sud-est della capitale. Ma non sembra, in questultimo caso, che si cercasse la casa dove sarebbe rinchiusa la ragazza italiana, quanto un punto di appoggio logistico dei rapitori.
Sullaltro fronte è anche vero, osserva qualche fonte della nostra intelligence, che criminali comuni e quindi non sequestratori professionisti, siano psicologicamente più imprevedibili. E quindi al di là di qualche trattativa dilungata, perquisizione ad amici e parenti, si cerca di non chiudere il corridoio aperto. E che questo esista pare scontato dopo almeno due telefonate nelle quali si è avuta la prova certa che Clementina, seppur con qualche graffio, è viva e sta bene.
Ultimo elemento che rallenta le operazioni è la burocrazia.
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