Raccontare Mishima, in qualunque sfaccettatura possibile dalla biografica all'artistica è un cimento che richiede un grado di preparazione, cultura e sensibilità fuori dall'ordinario; entrare nel disegno del suo esercito personale, la Tate No Kai e del suo significato più profondo vuol dire abbandonare qualunque veste occidentale e calarsi completamente in un altro regno storico e culturale che si autopreclude ai più.
Riesce però a farlo Daniele dell'Orco, con il suo L'esercito di Mishima. Storia segreta della Tate No Kai (Idrovolante, pagg. 400, euro 20), coro di voci che vengono dirette dal saggista ed editore, andando a cercare il segreto di questo manipolo e il lascito consegnato alla storia.
L'opera è un'indagine giornalistica ma anche una vera e propria profilazione della parabola di Yukio Mishima, che mette a in risalto aspetti mai rivelati prima, o mai analizzati, con fonti dirette, che riguardano la sua vita politica e le influenze filosofiche, culturali e ideologiche.
Un intreccio narrativo tra la rievocazione di fatti con analisi inedite e reperimento sul campo, da parte di Dell'Orco con il gruppo di studio Internazionale (si può dire) Mishima 100, di testimonianze di componenti dell'esercito di Mishima.
La Tate No Kai è forse stata la vera eredità dello scrittore giapponese. Sin dalla scelta del nome questo gruppo militare dichiarò guerra alla società, all'animo passivo e impigrito dalla sconfitta dei valori nipponici, infatti: Mishima scelse Tate No Kai, società dello scudo, poiché aveva una radice poetica. Mishima non voleva la spada simbolo dell'attacco, ma lo scudo, "emblema della protezione e della disciplina".
Una formazione di 100 componenti, all'apice del suo processo di costituzione, composta da quei giovani (tra i 18 e i 20 anni massimo), scremati inizialmente dai fidati dello scrittore e poi selezionati da Mishima stesso, con criteri chiari ed essenziali: nessuna affiliazione politica ufficiale, fedeltà all'imperatore, vigore fisico e disciplina interiore.
I membri della Tate No Kai non ricevevano paga, solo la divisa invernale, il berretto, la tenuta da combattimento e gli stivali (dal '69 anche un'uniforme estiva). Al di fuori di un addestramento intenso e durissimo, la Società si riuniva una volta al mese accanto al quartier generale delle Forze di Autodifesa, con un ordine del giorno immutabile, che prevedeva un pranzo frugale (riso al curry, economico e senza pretese, simbolo della severità del leader) e un'ora di addestramento militare sul tetto, con successivo scioglimento.
Giovani soldati, che incarnavano lo spirito e il pensiero del loro comandante, un'armata in attesa di un ordine che poi arrivò, ma non per tutti uguale.
Giovani che per anni e anni si sono esclusi dalla discussione internazionale, come ci dice Dell'Orco, ma qui sono stati raggiunti e capaci di dare nuova linfa alla comprensione di questo grande movimento di tradizione, conservazione e valorizzazione del Giappone e delle sue radici.
Giovani che hanno custodito dentro di sé l'insegnamento della loro esperienza e del loro mentore, del loro maestro, continuando la loro esistenza e incarnandola a modo loro, con un codice comportamentale - dettato da Mishima perpetrato negli anni.