Cultura e Spettacoli

I soldati del «terzo fronte» che lottarono per la libertà

Per molti anni in Italia la contrapposizione tra fascismo e antifascismo ha oscurato il valore dei veri eroi del ’900

Perché vi fosse un così scarso interesse storiografico per l’antitotalitarismo in Italia lo capì bene François Furet quando notò che «in Europa occidentale prevalse dappertutto l’effetto di intimidazione contenuto nell’alternativa fascismo/antifascismo: in Italia dove l’ideologia dell’antifascismo ebbe la massima diffusione, il concetto di totalitarismo non ha mai avuto diritto di cittadinanza. L’idea è stata ignorata, quasi vietata, nel paese dal quale era venuta la parola». Eppure gli intellettuali antitotalitari, così misconosciuti nel nostro Paese, sono stati in qualche modo gli eroi del Novecento, il secolo dei regimi totalitari nazista e comunista che hanno tragicamente segnato in Europa, e non solo, la storia contemporanea, e la vita e la morte di centinaia di milioni di esseri umani.
Per centrare il discorso sull’Italia degli anni Trenta-Quaranta, non c’è dubbio che le vicende del regime mussoliniano, della guerra mondiale e della guerra civile fino al primo dopoguerra, sono state prevalentemente interpretate nell’ottica fascismo/antifascismo, trascurando il fatto che nello schieramento antifascista coesistevano due tendenze ben distinte, quella facente capo ai comunisti e ai loro fiancheggiatori che si riprometteva di abbattere la dittatura per instaurare un altro regime autoritario, e quella degli antitotalitari che intendevano riguadagnare la libertà dell’Occidente.
Anche più tardi, con la Guerra fredda, quando l’alternativa fascismo/antifascismo era divenuta meno incalzante, la dialettica politica e l’interpretazione storiografica dominante nel quadro della nuova contrapposizione comunismo/anticomunismo metteva in ombra le pur importanti distinzioni esistenti nel campo anticomunista. In esso convivevano le forze politiche e culturali di orientamento liberale e democratico attente alle libertà individuali e allo Stato di diritto, e le correnti che, in nome dello scontro campale con il comunismo, accettavano qualsiasi commistione pur di instaurare in Italia un regime integralista simile alla Spagna di Franco, al Portogallo di Salazar, e all’America del maccartismo.
L’antitotalitarismo degli anni Trenta-Cinquanta fu interpretato in Europa da grandi intellettuali come George Orwell (La fattoria degli animali, 1984), Arthur Koestler (Buio a mezzogiorno), Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo), Albert Camus (Né vittime né carnefici) e Raymond Aron (L’oppio degli intellettuali), i quali tutti fino al primo dopoguerra tennero alta la bandiera dell’antifascismo democratico opposto a quello comunista, e più tardi incarnarono l’anticomunismo liberale, opponendosi a qualsiasi deriva autoritaria o semiautoritaria. Anche in Italia non furono pochi i circoli politico-culturali e le personalità che percorsero lo stesso itinerario, pur nel difficile clima interno ed internazionale che tendeva a dipingere il mondo in rosso e nero. Fu così che nella vicenda europea e italiana dagli anni Trenta-Sessanta fu attivo il cosiddetto «terzo fronte» degli antifascisti-anticomunisti, ossia di quegli antitotalitari che, misconosciuti e combattuti sia a sinistra, sia a destra, alla fine ebbero ragione.
Benedetto Croce, che aveva firmato nel 1925 il Manifesto degli intellettuali antifascisti, nel febbraio 1948, in pieno scontro ideologico, lanciò il «Manifesto Europa, cultura e libertà» insieme a Gaetano De Sanctis, al liberale Luigi Einaudi che dopo qualche mese sarebbe divenuto presidente della Repubblica, al capo della resistenza Ferruccio Parri, al socialista cristiano Ignazio Silone, e al patologo Pietro Rondoni, esponente cattolico del mondo scientifico. Ma già prima della guerra, nel 1935, Gaetano Salvemini, «l’ebreo errante dell’antifascismo» aveva levato la sua voce anticonformista al convegno internazionale degli antifascisti di Parigi, denunziando, in un clima egemonizzato dai «compagni di strada» del comunismo, i gulag e la polizia segreta sovietica che non potevano essere ignorati nel momento in cui si mettevano sotto accusa le polizie del fascismo e del nazismo.
Tra i gruppi e le riviste della «terza via», particolare rilievo ebbe il settimanale Il Mondo che divenne la principale tribuna degli antitotalitari laici italiani grazie all’intelligenza del direttore Mario Pannunzio che, non a caso, aveva manifestato la sua vocazione liberale con il saggio Le passioni di Tocqueville pubblicato all’indomani del 25 luglio 1943. Sul Mondo, e nei convegni che ne fecero corona, si incontrarono molti dei personaggi che praticarono, se pure da diverse provenienze, la prospettiva antitotalitaria: da Ernesto Rossi a don Luigi Sturzo, da Guido Calogero ad Adriano Olivetti, solo per fare alcuni nomi degli irregolari che si confrontarono su quelle pagine.
Ma fu soprattutto una coppia di intellettuali eretici dalle profonde passioni civili, Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, che all’inizio degli anni Cinquanta costituirono «l’Associazione per la Libertà della Cultura» di cui fecero parte molti prestigiosi uomini di cultura italiani che fronteggiarono a viso aperto l’offensiva del partito comunista che con le organizzazioni «democratiche» frontiste cercava di egemonizzare tutta l’intellettualità italiana. Era anche l’idea del rapporto che si doveva praticare tra politica e cultura a dividere i totalitari dagli antitotalitari: se i frontisti auspicavano l’«impegno» politico diretto degli intellettuali accanto alle forze politiche «democratiche e progressiste» (alla maniera dell’engagement di Jean Paul Sartre), liberali e democratici propugnavano la centralità della coscienza individuale con la distinzione delle sfere dell’attività umana e il rifiuto della strumentalizzazione politica della cultura.
m.

teodori@mclink.it

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