Cultura e Spettacoli

I soldi vanno concessi con criteri meritocratici

Duecentomila persone in Italia lavorano nello spettacolo, settore sovvenzionato quando «d’interesse culturale». Giro d’affari? Due miliardi, con relativa Iva ad alimentare le sovvenzioni stesse. Per la Costituzione, art. 21, non si possono discriminare opere per l’orientamento politico. Se le opere sovvenzionate sono di sinistra ed estrema sinistra, è perché pochi ne fanno e quasi nessuno ne incoraggia di orientate a destra e all’estrema destra. Ma ora s’affaccia Barbarossa di Martinelli, molto voluto da Bossi, molto scartato dall’ultima Mostra di Venezia.
I film politici di rilievo puntano sul Festival di Cannes; gli altri ripiegano sulla Mostra di Venezia e sul Festival di Roma. I loro selezionatori l’hanno trovato naturale, come i politici e gli amministratori del centrodestra che li hanno nominati. Se ora derivano attriti dalla spartizione fra potere politico e potere culturale, è perché alla maggioranza politica non occorre il «compromesso cinematografico» per governare. Era una cortesia che si minaccia di revocare.
Si rinfaccia a certi registi - uno dall’idea di sé molto alta, l’altro dai modi molto bassi - di sputare nel piatto dove mangiano, perché girano film con soldi investiti - non donati - da un’azienda facente capo al presidente del Consiglio. Reazione comprensibile, salvo la tentazione di buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il bambino è il cinema italiano, che non andrebbe censurato, ma incoraggiato a produrre anche opere diverse, col garbo con il quale Giulio Andreotti, fra 1947 e 1953, orientò anche registi di sinistra e di estrema sinistra a sostenere l’interesse nazionale, non solo quello culturale. Perché Trieste tornasse all'Italia; e Trieste tornò. Ormai da decenni tutto, nel cinema di idee, si risolve invece in ben altre rivendicazioni: diritto alla gayezza, diritto all’esaltazione del ’68, diritto perfino a fare un mito di una famiglia comunista di Bagheria.
Mediocri ambizioni, ma democrazia è diventata sinonimo di mediocrità. Nessuno rammenta i doveri? Colpa di chi non lo fa. Però regole ci sono, migliori delle precedenti, seppur migliorabili ancora, come nota il direttore generale del Cinema al ministero dei Beni culturali, Gaetano Blandini.
Con la riforma Urbani è finito lo scempio che aveva bruciato i 500 miliardi di lire, accumulati per le sovvenzioni negli anni in cui il cinema italiano è stato industria, fra anni Sessanta e anni Ottanta. Ora le sovvenzioni vengono concesse sulla base dei progetti e delle sceneggiature, ma versate solo quando le condizioni sono realmente esaudite. La prima linea di Renato De Maria, ispirato dalle memorie di Sergio Segio, ex terrorista, è stato proiettato ieri in anteprima mondiale al Festival di Toronto. Ma il film avrà il milione e mezzo di euro convenuto (gli altri finanziamenti sono di Medusa, Rai e Sky, per una volta unite nella lotta) solo se la sceneggiatura non avrà subito sostanziali modifiche.

In Italia, non tutto funziona, ma qualcosa sì.

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