I suoni morbidi dei Kings of Convenience

Il duo norvegese aprirà martedì la rassegna a Castellazzo di Bollate. La critica li ha paragonati a Simon & Garfunkel

I suoni morbidi dei Kings of Convenience

Luca Testoni

Lo dicono (e lo scrivono) anche gli inglesi: in questo momento, Bergen è una delle «capitali» del pop-rock contemporaneo.
Un’esagerazione? Be’, forse no. In fondo, Annie, Sondre Lerche, Ralph Myerz, Jack Herren Band, ma soprattutto Röyksopp e Kings of Convenience sono i «figli prediletti» della graziosa città anseatica (e universitaria) norvegese, tutta fiordi, montagne e casette di legno colorate.
I più apprezzati del lotto alle nostre più calde (e meno piovose) latitudini sono i Kings of Convenience che, dopo quasi quattro anni di assenza, ritornano in Lombardia in occasione della serata inaugurale (martedì alle 21.30, ingresso 20 euro) del Festival di Villa Arconati a Castellazzo di Bollate, una decina di chilometri a nord di Milano.
Dietro l’ironica sigla, si cela un duo dall’aspetto più da bravi bibliotecari che da popstar: l’occhialuto ed estroso frontman Erlend Øye (noto anche per alcune sue interessanti incursioni in ambito elettronico) ed Erik Glambek Bøe, il bello e riservato della coppia, una laurea in Psicologia nel cassetto.
Da quando, nel 2001, sono stati eletti dai media britannici (e non solo) paladini del movimento neo-acustico, questi due ragazzi, ormai prossimi alla trentina, ci hanno (re)insegnato che per fare buona musica, che sa come parlare al cuore e creare atmosfere ad alto tasso di intimità, non sono necessarie chissà quali diavolerie informatiche o effetti choc: bastano un paio di chitarre (acustiche naturalmente), buone canzoni pop-folk e melodie accattivanti da cantare - nel caso specifico - rigorosamente a due voci e con delicata e soave gentilezza, alla maniera della premiata ditta Simon & Garfunkel dei tempi d’oro.
«La tranquillità è il nuovo rumore» è la traduzione del titolo del bucolico album di esordio («Quiet Is The New Loud») di quattro anni fa. Una dichiarazione d’intenti alquanto esplicita del proprio modus operandi, fatto di suoni morbidi e crepuscolari, quasi fossero una sorta di antidoto al gran «trash sonoro» che ci circonda notte e giorno.
L’atteso seguito è giunto, un anno fa di questi tempi, con «Riot On An Empty Street», che ha regalato al duo un’inattesa popolarità (roba da Festivalbar et similia...), anche e soprattutto grazie al gradevole (e vivace) singolo apripista «Misread».

Un disco, moderatamente coraggioso, l’ultimo, con il quale i due norvegesi hanno provato a emanciparsi dal proprio (riconoscibilissimo) suono, flirtando con la bossa, il jazz e il down-beat e ricorrendo anche a una brava e talentosa vocalist, come la canadese Feist.

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