I talenti nascosti del made in Italy

«Possiedo alcune azioni del Banco delle Primule/ Titoli profumati/ Una dote di asfodeli», verseggiava Emily Dickinson in pieno diciannovesimo secolo, esaltando un personalissimo tesoro fatto di sogno, poesia, ricchezze evanescenti eppure tanto preziose. E il pensiero, in un soffio, attraversa l'Atlantico e corre allo strano destino del nostro Paese: povero di petrolio, uranio e oro, ma traboccante di idee, persone, maestri che, da secoli, sanno tramandare i segreti di antichi mestieri. Ricco, in una parola, di saper fare. Una cosa è certa: è un saper fare d'eccellenza quello che ieri sera, all'ora dell'aperitivo, ha riempito il Salone d'Onore della Triennale di nomi noti e nuovi talenti. Occasione: il forum I talenti nascosti del Made in Italy, promosso dalla Fondazione Cologni dei Mestieri d'Arte e Robilant Associati, per presentare la ricerca «Mestieri d'Arte e Made in Italy. Giacimenti culturali da riscoprire», realizzata da un team dell'Università Cattolica di Milano e pubblicata da Marsilio.
Un legame, quello tra il nostro Paese e i mestieri d'arte, che prende vita nella fertile stagione della civiltà comunale, con il suo discusso ordinamento corporativo che, nel bene e nel male, ne ha costituito il nerbo. Nel Cinquecento, alla bottega dell'artigiano-artista Benvenuto Cellini si affacciavano indistintamente sovrani, apprendisti, maestri, mercanti, pittori, musicisti. E ancora un paio di secoli più tardi i lord d'oltremanica, quando scendevano nella Penisola, non mancavano di ammirare il gusto e la raffinatezza di certe botteghe, il connubio tra sapere tecnico e abilità manuale forgiato da un continuo raffinamento.
Certe cose non sono cambiate. Franco Cologni, che dirige dal 1995 la Fondazione dei Mestieri d'Arte, ricorda che oggi esiste ancora un Grand Tour fatto di «nuovi maestri d'arte che producono oggetti meravigliosi, laboratori eccellenti dove riscoprire il sapere e il sapore: perché sapere, nell'etimo, significa innanzitutto "avere sapore" e la saggezza di un popolo nasce e si sviluppa in un determinato territorio, che diventa esso stesso un valore prezioso come l'oro o il petrolio».
Cinque i filoni tematici seguiti: moda, design, restauro, enogastronomia, spettacolo. Tra le nuove frontiere, molto interessante il restauro applicato agli oggetti di design, disciplina recentissima e con buone prospettive di sviluppo. Ma tutti, del resto, sono settori piuttosto dinamici, che possono offrire una risposta concreta e di alto profilo alle vocazioni professionali (e alle esigenze occupazionali) delle nuove generazioni. Perché ciò che conta, per differenziarsi e superare i momenti di difficoltà, è innanzitutto il valore umano. A dirlo è il coordinatore della ricerca Paolo Colombo, storico delle istituzioni politiche e direttore del Centro Arti e Mestieri dell'Università Cattolica: «Anche i mestieri, a maggior ragione quelli d'arte, sono a proprio modo istituzioni. E le istituzioni sono incarnate da persone. Per questo l'apporto degli artigiani, dal più umile al più nobile, è decisivo».
Sono loro, i maestri, i tesori viventi del made in Italy, veri protagonisti del perpetuo rinnovarsi dei filoni di qualità che arricchiscono la cultura. L'appuntamento di ieri, organizzato in un format estremamente vivo e dialettico, fatto più di esperienze sul campo che di riflessioni astratte, ha permesso di immortalare il punto esatto in cui l'impalpabilità si concretizza, e il sapere teorico diventa la chiave del successo imprenditoriale e commerciale. Non a caso Cologni parla di «riscoprire reti di relazioni che riescono ancora a trasformare il Prodotto Interno Lordo, di cui si fa ultimamente un gran parlare, in uno straordinario Prodotto Interno Qualità».

Per questo particolare attenzione è stata dedicata alla formazione delle nuove leve di artigiani-artisti, che diventeranno i maestri del futuro. A patto che non dimentichino la lezione di uno dei Grandi, Salvatore Ferragamo: «Non c'è limite alla bellezza, non c'è un punto di saturazione nella creazione», disse un giorno. Dobbiamo ricordarcene.

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