I tempi della democrazia e la fretta dell’Occidente

La democrazia è compatibile con la cultura araba musulmana? La domanda può sembrare imbarazzante ma resta ugualmente doverosa nel momento in cui gli Usa puntano tutto sull’«esportazione» del modello democratico nella regione.
Per dare al quesito una risposta non astratta occorre in primo luogo volgersi a considerare come e quando il modello democratico si compì da noi, e sulla base di quali fondamenti sociali e culturali. Partiamo da questi ultimi, che in effetti per importanza sono i primi. L’idea della democrazia basata sul principio «una persona, un voto» nonché sul primato dei diritti dell’uomo anche nei confronti del potere dello Stato implica in primo luogo il convincimento profondo, radicato e diffuso della dignità unica e intangibile di ciascuna persona umana; e in secondo luogo il convincimento altrettanto profondo, radicato e diffuso che si deve dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Implica cioè qualcosa che è tipico delle culture di matrice cristiana, e che invece non ritrova affatto nella cultura musulmana, in cui non conta la persona bensì il gruppo, e in cui il principio di laicità non ha radice alcuna.
A questa carenza per così dire strutturale se ne aggiunge un’altra per così dire congiunturale. Nella società araba contemporanea non è ancora sufficientemente sviluppato quel blocco sociale di ceti medi fatti di professionisti, dirigenti, imprenditori che sono il motore decisivo della democrazia moderna perché ne hanno necessità per motivi che non sono soltanto politici ma anche sociali.
Per vivere e prosperare questi ceti hanno infatti bisogno di mobilità, di certezza del diritto non solo costituzionale ma anche civile e commerciale, della possibilità di un rapporto con la pubblica amministrazione su cui non incomba come rischio permanente l’arbitrio del potere politico e anche del potere burocratico.
In Occidente il seme della democrazia compiuta, pur essendo presente ab antiquo, ha germogliato solo quando questi ceti sono divenuti centrali nella società. E anche qui ciò ha avuto luogo al termine di un travaglio né semplice né breve, che nel 1789 ebbe inizio in Francia con la convocazione degli Stati Generali: qualcosa che durò tuttavia il tempo di un mattino cui fece seguito la notte della Rivoluzione francese. E poi continuò con balzi grandi e convulsi sia in avanti che indietro fino alla seconda metà del secolo XX, quando si giunse infine al suffragio universale anche femminile.
Stando così le cose, pretendere che questo stesso modello democratico possa istantaneamente instaurarsi anche nel mondo arabo non ha molto senso. La democrazia è certamente un principio di valore generale, ma i modi e i tempi della sua attuazione, che pur è giusto promuovere, devono rispettare il passo della storia.

Altrimenti si rischia ciò che già accadde negli anni ’60-’70, quanto feroci dittature - l’ultima a cadere tra le quali fu quella di Saddam Hussein - sorsero all’ombra di impraticabili sistemi democratici creati a tavolino, per imposizione della Gran Bretagna e della Francia, su modello occidentale.

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