I tic verbali impoveriscono il linguaggio

Gentile dott. Granzotto, da qualche anno noto (sui quotidiani, in televisione) un uso per me distorto dell’avverbio «piuttosto» quando è associato al pronome «che». Per esempio, in un articolo di Caldarola pubblicato dal Giornale, leggiamo: «Si sapeva in tempo reale su che cosa lavorava la procura di Catanzaro piuttosto che quella di Milano». A me una frase siffatta suona come: «Rispetto alla procura di Milano, era più facile sapere su che cosa lavorava quella di Catanzaro». Caldarola sembra invece usare il «piuttosto che» come congiunzione, come semplice sostituto di «oppure» o di «o». Ho sentito, in tv, fare elenchi anche lunghi di opzioni, con una sequela di «piuttosto che». Se un’agenzia immobiliare, nella sua pubblicità, proponesse «appartamenti modesti piuttosto che ville», noterei un certo richiamo al pauperismo sottinteso nella sua offerta.

Se vado al mio bar e dico al barista di sempre: «Mario, stamani vorrei un caffè piuttosto che un caffellatte», come reagisce, secondo lei, il barman? Aspetta qualche secondo e, rimanendo io silenzioso, mi chiede di decidermi... oppure mi fa subito un caffè... o addirittura me li serve tutti e due? Mario dovrebbe aver capito che, a differenza del mio solito caffellatte, oggi preferisco un caffè... o mi sbaglio?

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