I timori della base di An: serve un po’ di tempo ma l’occasione è storica

Viaggio tra i militanti della destra dopo l’unione con Forza Italia: «Bisogna saper affrontare le sfide quando si presentano»

da Roma

Ci sono molti sentimenti in chiaroscuro nella fotografia del momento di Alleanza nazionale. Se da una parte nel quartier generale del partito c’è l’euforia per una svolta storica e per un matrimonio, quello con Forza Italia, celebrato dopo un corteggiamento travagliato, nella base c’è un contrasto dinamico, fatto di toni grigi. Un travaglio soft, figlio più di un disorientamento che di una mancata condivisione delle scelte, neppure vagamente assimilabile allo strappo lacerante del 1995, al salto nel buio di Fiuggi, alle lacrime e al dolore dei militanti, alle forche caudine delle polemiche interne attraverso cui Gianfranco Fini, nella sua qualità di modernizzatore immune alle sirene della nostalgia, fu costretto a passare. Ma qualche timore c’è. E non potrebbe essere altrimenti, visto il passaggio storico che il partito si appresta ad affrontare attraverso l’incognita di una graduale dissoluzione e una successiva rinascita.
Il panorama delle opinioni e dei sentimenti che attraversano la base sono ricchi di sfumature. E le perplessità si appuntano non tanto sul merito quanto sul metodo e sui tempi dell’operazione. «Non può succedere tutto in un momento» dice Mirko Tremaglia. E Donna Assunta Almirante aggiunge: «Gianfranco deve sapere che non siamo sudditi, deve chiedere permesso al popolo prima di ammainare le bandiere». E fuori dall’ufficialità anche alcuni dirigenti di primo piano avvertono che un sottofondo di preoccupazione esiste, visto che «a sessanta giorni dal voto ritrovarsi a spiegare perché non c’è più il simbolo» non è la condizione ideale con cui affrontare la campagna elettorale. Nessuno, però, si schiera contro la nuova svolta finiana. L’evento, preparato attraverso quattordici anni di coabitazione nella Cdl, non coglie certo di sorpresa dirigenti e militanti. Ma, fanno notare in molti, una pianificazione di più ampio respiro sarebbe stata ben accetta. «Non c’è dubbio che negli ultimi giorni siamo stati sulle montagne russe e certo sarebbe stato meglio non apprendere dai giornali la notizia di una svolta così importante» ammette Federico Mollicone, presidente di un circolo agguerrito come quello di Colle Oppio. «In ogni caso le sfide quando si presentano bisogna saperle affrontare. Queste ore assomigliano a quelle frenetiche del ’93 ma il rapporto con Forza Italia è consolidato e i nostri circoli potranno rappresentare i fari territoriali per una campagna elettorale comune. In ogni caso nessuna paura di morire democristiani: la sindrome della Dc l’abbiamo superata già da Fiuggi». La spallata finiana ottiene un sostanziale via libera anche da un altro cuore di destra come Fabio Rampelli. «L’idea di un trauma profondo e doloroso è eccessiva. Ma è vero che tanti militanti preferiscono far finta di non vedere e derubricare l’accordo alla stregua di una federazione e nulla più». Il sentimento prevalente, insomma, è ancora quello dell’incredulità. «Ma anche tra i duri e puri non ci sono talebani prigionieri del passato» continua Rampelli. «Il punto è che un processo di unificazione si sviluppa attraverso tappe successive. È un’occasione storica questa e quindi la partecipazione popolare è fondamentale per non procedere soltanto secondo una logica mediatica. Diciamo che per ora conosciamo solo il titolo del film, vedremo nelle prossime settimane quale sarà il resto della trama».
Giorgia Meloni, a sua volta, mantiene un atteggiamento prudente. «Capisco che votare un simbolo diverso possa colpire l’immaginario ma il partito non si è ancora sciolto. Quindi non precorriamo i tempi. Calma e sangue freddo». Ma davvero tra i ragazzi di Azione Giovani con cui è cresciuta non c’è preoccupazione per l’ammainamento di bandiere e simboli? «I valori sono dentro di noi e li porteremo con noi dovunque andremo. I ragazzi mi hanno chiesto cosa avrebbero dovuto fare dei manifesti già stampati di Azione Giovani. Gli ho detto di stare tranquilli e di continuare a lavorare». Giovanni Donzelli, a sua volta, semina parole di serenità. «A noi certo non traumatizza la lista unica» dice il presidente di Azione Universitaria. «Quello che ci traumatizza sono i tempi. Siamo passati negli ultimi mesi attraverso una serie continua di stop and go, avremmo preferito un percorso più dolce. Ma siamo pronti alla nuova avventura, tanto più che in università da anni noi facciamo liste comuni con Forza Italia. Le perplessità, magari, possono essere di più su altre presenze come quelle di Dini e Mastella».

Il partito, insomma, vive il disorientamento aggrappandosi ai suoi valori più profondi, senza timore di disperdersi in una melassa indefinita. E piuttosto che spedire qualche nostalgica cartolina dal passato preferisce ridefinire la propria identità. E proiettarla nel futuro.

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