I trucchi della sinistra non incantano Bossi: «Avanti con Silvio»

Roma«Non penso possa durare molto, Lega e Pdl non vanno lontano insieme» dice Bersani, caricando le sirene. Quindi Bossi strappa con Berlusconi? Risposta del capo leghista: «No». Sì però, rifletteva sempre il Pd, la Lega «è una forza popolare, combatte sul nostro terreno, che ad occhio non è lo stesso del miliardario...». Quindi, Senatùr, che fa, molla il miliardario e abbraccia la sinistra? Risposta: «Noi non abbiamo i tipici progetti della sinistra, non abbiamo le idee di Pisapia, lui è matto, un estremista che vuole riempire Milano di moschee e zingari».
Ad occhio, direbbe Bersani, sembra un no all’inciucio democratico. Però Fassino, galvanizzato dall’elezioni, si improvvisa seduttore: «Se la Lega vuole il federalismo deve aprirsi al centrosinistra». Infatti Bossi, qualche ora dopo, annuncia un «progetto nuovo da fare insieme», sì ma insieme «a Berlusconi». «È la fine dell’asse Pdl-Lega» sentenziava l’Idv dopo il voto. «Il Senatùr è convinto: se perdiamo si apre la crisi» retroscena Repubblica, con toni da ultimi giorni di Hitler. Giusto il tempo per aspettare che Bossi, quello vero, dica «il governo va avanti», certo, cambiando molte cose perché il tonfo di Milano è stato pesante. Tutto da rifare, comunque, per i tifosi della rottura, questo divorzio non s’ha da fare, almeno per ora. Peccato, stavolta sembrava fatta. Ma c’è sempre un dettaglio da considerare, riassunto da Matteo Salvini su Facebook: «Se non è il meglio (il Pdl, ndr), di là (a sinistra, ndr) è peggio». La famosa base della Lega, quella che parla a Radio Padania (e fa la gioia dei divorzisti Pdl-Lega), forse non amerà «il miliardario», ma certamente detesta (come l’elettorato Pdl) i «comunisti», «gli amici delle moschee» e degli immigrati, chi accoglie i rom a braccia aperte, i «centri sociali».
«Non andremo mai a sinistra, semmai soli se le cose col Pdl continuano ad andare male» riassume a microfoni spenti un parlamentare leghista. Il matrimonio di interesse con Berlusconi va avanti, Bossi lo ha incontrato e ne è uscito soddisfatto («è andata bene»). Ha chiesto un cambio di marcia, nell’interesse di entrambi, anche del capo leghista che conosce bene gli umori del suo popolo e dei suoi militanti, molti dei quali avvelenati con i vari capetti pidiellini. C’è un «nuovo progetto» da mettere in campo, col premier, «non l’abbiamo ancora messo giù - dice Bossi -. Dobbiamo trovarci e sistemarlo ma innanzitutto non abbiamo le idee di Pisapia», cioè noi siamo una cosa, la sinistra un’altra. Anche il tema dei Responsabili, la stampella meridionalista che sorregge la maggioranza (quindi il governo) alla Camera, e che si è individuata come un punto debole dell’asse Lega-Pdl, per Bossi non è poi un problema così grave. Berlusconi vuol mettere anche loro nel «nuovo progetto», «lui è convinto» spiega il Senatùr, senza obiettare molto. Il governo va avanti, ma «non può non fare niente, bisogna fare delle scelte, anche noi abbiamo fatto degli errori» spiega il capo leghista fissando la linea del partito dopo giorni di ipotesi vorticose.
«Il problema è fare un progetto per il cambiamento, fare le riforme, abbiamo fatto il federalismo fiscale, ma darà effetti solo tra qualche anno», mentre a Bossi serve un bottino più immediato. Tra qualche settimana, a Pontida, annuncerà la proposta di legge popolare per spostare i ministeri (anche) al Nord. Il popolo leghista è affamato di cose concrete, e dopo aver inghiottito bocconi amari, attende risposte. Sennò paga il conto Bossi, che ha visto scendere i sondaggi del suo partito a cominciare da gennaio, fino al tonfo dell’altro giorno, che al Nord ha perso quasi 30mila voti.
La Lega si sta mobilitando per salvare il salvabile a Milano, e non si esclude un impegno diretto di Bossi, con un comizio sul palco insieme a Berlusconi. Sul fronte romano invece si lavora al nuovo progetto, che potrebbe anche vedere un vicepremier caro alla Lega come Giulio Tremonti (che invece «non accetterebbe» di fare il premier, dice l’Umberto, così come il suo Bobo Maroni, che «è intelligente, capisce le cose. Non sta pensando al dopo Berlusconi, non accetterebbe mai di fare il premier»). Un segnale, ma non basta. Bossi con Calderoli sta definendo una bozza di riforme costituzionali, oltre al federalismo fiscale da concludere. Rimangono i problemi, quelli di un Pdl che se affonda non può trascinare con sé la Lega. Qui i leghisti tracciano uno scenario: «se le cose non migliorano e Berlusconi non farà un passo indietro, lasciando a Tremonti il ruolo di candidato premier, non ci conviene andare avanti così fino al 2013, sennò crolliamo - spiegano fonti parlamentari leghiste -.

Chiederemo il voto l’anno prossimo, e correremo da soli, senza Pdl ma anche senza il centrosinistra». Ma è l’ipotesi più sciagurata, «perché come Lega facciamo il botto, ma perdiamo come coalizione». Quindi si va avanti. A vista, ma insieme.

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