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Con i virtuosi si fanno davvero pessimi affari. Parola delle api. E anche di Mandeville

La "Favola delle api" di Bernard Mandeville è uno degli scritti piú citati del piccolo mondo liberale. Scopriamo perché

Con i virtuosi si fanno davvero pessimi affari. Parola delle api. E anche di Mandeville

Bernard Mandeville è ciò che serviva dopo aver recensito, la settimana scorsa, Thomas Jefferson. Due grandi influencer (come si dice ora nel mondo di twitter) dell'illuminismo. Mandeville, come scrive bene Daniele Francesconi nell'introduzione di Sociabilitá (Liberilibri editore, collana le oche del Campidoglio) «è più noto che conosciuto». In effetti la sua "Favola delle api" è forse uno degli scritti piú citati del piccolo mondo liberale. Un apologo di 433 versi (molto attuale la traduzione nel libro) la cui morale è che non può esserci grandezza e ricchezza senza vizio. L'olandese, emigrato a Londra a fine '600 e medico senza licenza, realizza una parodia di un alveare. La società delle api funziona perfettamente e prospera anche grazie a truffatori, ladri e corruzione: «i poveri vivevano meglio di come vivessero prima i ricchi». E ancora: «così ogni parte era piena di vizio, ma tutto l'insieme era un paradiso». Quando tutto ciò viene «ripulito» per un improvviso intervento divino, la magia finisce, l'alveare perde lustro e «onestamente» finisce nel cavo di un albero. Eppure erano state proprio le api ad invocare l'intervento di Giove: «tutti gridavano abbasso gli imbrogli e pur consapevoli dei propri non li sopportavano negli altri». Quanti di coloro che oggi gridano ad alta voce nelle pubbliche piazze «onestà, onestà» non hanno qualche peccatuccio da farsi perdonare e di cui si sono autoassolti? Un po' come per l'evasione fiscale: tutti ad invocare la caccia al ladro, per poi diventarlo alla prima occasione. L'atteggiamento delle api di Mandeville è diffuso, anche se non si può dire che il nostro alveare sia ultimamente così prospero.

"La favola delle api" non tratta però solo della gigantesca ipocrisia del moralismo, ma affronta almeno tre temi che poi saranno alle basi del liberalismo classico. Vediamoli, in sintesi: l'interesse personale è motore della virtù (Adam Smith), si devono sempre considerare le conseguenze inintenzionali dei comportamenti individuali (Popper) e infine esiste una cooperazione non spontanea e ugualmente vantaggiosa tra gli individui (Hayek).

Francesconi, il curatore della raccolta di scritti (non c'è la sola Favola , ma anche interessanti contributi ad un periodico anticonvenzionale dell'epoca), ci ricorda il fondamento satirico del pensiero di Mandeville. È certamente così. Ma con una meravigliosa eterogenesi dei fini (a proposito di conseguenze inintenzionali) l'influenza che la favola ha avuto nella costruzione del pensiero liberale è stata enorme.

È giusto celebrare questo medico ciarlatano di fine '600 che ha combattuto con vigore i parrucconi della sua epoca.

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