«Non ci crediamo». «Siamo tutti sorpresi». «È un gran lavoratore, non ci siamo mai accorti di nulla».
Così, alcune settimane fa, le duecento anime arroccate a Sussisa di Sori dipingevano il contadino terrorista Riccardo Massimo Porcile, 29 anni, arrestato per terrorismo. Nel suo cascinale gli agenti della Digos avevano trovato un arsenale con fucili, micce e una bomba a mano. L'insospettabile farebbe parte di una presunta cellula brigatista.
«Lo sapevano tutti». «Quella donna di Camogli non gli dava pace». «Erano mesi che quella volontaria animalista di Camogli lo perseguitava».
Così, ieri mattina, decine di conoscenti dell'omicida-suicida dipingevano il quadro in cui da tempo era maturato il conflitto fra cacciatori e animalisti.
Se la storia del contadino presunto brigatista aveva lasciato increduli un po tutti, quella di ieri mattina è probabilmente stata una tragedia annunciata. Parlano in molti. Da una parte e dall'altra.
«Castagnola abitava di fronte al mio ristorante - spiega il titolare della trattoria Rosa, Ennio Olcese - lo conosco da anni e non ha mai dato problemi. Mai un battibecco. Era sposato e aveva la passione della caccia. Ai suoi cani ci teneva come se fossero i suoi figli. L'anno scorso gliene era morto uno. Aveva pianto».
«I cani erano come i suoi bambini - spiega un cacciatore della squadra di Castagnola - li teneva bene. Di giorno li lasciava liberi nel terreno dove è successa la tragedia. Dava loro da mangiare e da bere al mattino e alla sera. Sono cani che hanno anche un valore commerciale oltre che affettivo. Castagnola non era stato denunciato per maltrattamenti. Non si capisce bene il perché glieli volessero portare via. Il veterinario, per quanto ricordo, era venuto a visitare i cani e mi pare che non avesse ravvisato anomalie. Pareva tutto regolare».
«Trattava quasi meglio i cani che la moglie - dice un altro cacciatore - altro che sevizie e scarsa igiene. La storia era conosciuta da tempo. La volontaria animalista di Camogli era venuta su già altre volte. C'erano state segnalazioni. Battibecchi. Alterchi. Forse anche qualcuno che si era lamentato per l'abbaiare dei cani. Quando Castagnola si è visto recapitare addirittura il decreto di sequestro dei suoi cani non ci ha visto più e in lui è scattata la follia. Si sarà sentito accerchiato. Impotente di fronte a quella che evidentemente riteneva un'ingiustizia».
«È la solita storia - dice un altro cacciatore sorese - ci guardano male, alcuni non ci salutano, soltanto perché andiamo a caccia al cinghiale. Da un lato gli agenti della polizia provinciale, i guardiacaccia e quelli della Forestale, sono professionisti addestrati e preparati. Ci controllano e non abbiamo mai avuto niente da obiettare. Dall'altro lato, tuttavia, spesso ci sono i volontari delle guardie zoofile che sono animalisti convinti, che lo fanno con il cuore, ma che non sono in grado di gestire situazioni potenzialmente pericolose».
«Quello che è successo è una tragedia che forse si poteva evitare - dicono in lacrime Daniela Filippi e Monica Ferro della Lav e amiche delle vittime - noi ci mettiamo il cuore e siamo convinti delle nostre buone azioni a favore degli animali. Ma non siamo armati. Non siamo preparati. Non siamo addestrati a affrontare gente che detiene armi da fuoco. Siamo d'accordo: Elvio e Paola non sarebbero dovuti essere lì. La storia e le forti tensioni erano risapute. Noi siamo contro la caccia e ci battiamo ogni giorno pacificamente per i diritti degli animali».
«Me la sono cavata per cinque minuti - aggiunge Giuseppe Liccardo, guardia zoofila della Croce Bianca genovese - Elvio e Paola mi avevano chiamato alle 8,30.
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