Ibra accusa: «Colpa nostra Ci siamo complicati la vita»

Conoscendo il soggetto, il Milan ha giocato d’anticipo. E a Mino Raiola, suo agente oltre che addetto-stampa, ha affidato l’incarico diplomatico di vietargli ogni commento in fatto di squalifica e riduzione successiva. Le domande, inevitabili, dei giornalisti svedesi avrebbero potuto farlo scivolare sul terreno scomodissimo dell’inelegante giudizio di un collega, l’interista Julio Cesar («sarebbe stato scandaloso se gli avessero fatto giocare il derby»). «Mi hanno dato l’ordine di non parlare, quindi non dirò niente. Mi alleno tutti i giorni, come sempre, e forse coglierò l’occasione per riposare. Dopo la nazionale il Milan mi darà qualche giorno libero anche se il calendario non mi consente eccessive libertà» è la sua risposta più attesa e inseguita nei giorni scorsi. Dalla sera di Milan-Bari lo svedesone è chiuso nel bozzolo di un risentito, rabbioso “no comment“, così solo Marco Van Basten, incrociato alla festa dei 25 anni di presidenza milanista, rimarrà depositario esclusivo del racconto di Zlatan Ibrahimovic sulla famosa manata al fianco di Rossi e su Brighi, l’arbitro birichino di Milan-Bari. Peccato. Perchè sarebbe stato interessante ascoltare Ibra sul suo gesto, trattato alla pari con la testata rivolta da Radu a Simplicio e magari avremmo scoperto anche dell’altro.
Diligente come mai era capitato ai tempi dell’Inter, Ibrahimovic ha rispettato la consegna milanista ma ha consegnato alla platea della nazionale svedese (gioca contro la Moldavia), altri giudizi e pronostici su sfide in corso e sulla propria carriera che non sono poi così scontati. Non è mai banale, Ibra, proprio come in campo, nemmeno quando segnala, dinanzi ai suoi connazionali, che «non cambierò il modo di giocare, sono questo e questo resterà il mio gioco» per ricacciare indietro il dibattito in voga in Italia come in Svezia sul suo modo di influenzare il gioco del Milan o della nazionale di Stoccolma. Prendere o lasciare, dunque: questo è Ibrahimovic, dinanzi a un microfono o in tuta a Milanello dove gli hanno riconosciuto invece una matura correzione del proprio profilo tecnico, per esempio segnalando i suoi recuperi difensivi, i suoi assist generosi, la sua richiesta, in allenamento, di non cedere al “cazzeggio“ e di lavorare sodo.
Senza Ibrahimovic, il derby di Milano avrà un sapore amarognolo per il Milan, più intenso, quasi da ubriacatura per l’Inter e lo svedesone lo sa perfettamente. Perciò ha deciso di volare sopra la sfida di sabato prossimo, senza moltiplicare ansie ed entusiasmi. «Restano 8 partite per assegnare lo scudetto, sarà una sfida interessante giocata fino all’ultimo minuto per assegnare lo scudetto» è la sua convinzione seguita da una riflessione sincera, senza sconti al proprio spogliatoio. «Ne ho giocati tanti di derby, so quanto valgono e cosa contano. Ma so anche che il prossimo non conta per la vittoria in campionato» il tentativo di assecondare la filosofia di Allegri e di far disperdere la pressione che ha ingigantito i timori rossoneri. «Tutto è diventato più difficile per colpa nostra e per il fatto che a Palermo noi abbiamo perso e l’Inter ha piegato il Lecce» la sua stoccata prima di ricaricare le pile dei suoi. «Nonostante tutto siamo ancora i più forti in Italia» è l’altra convinzione di Ibra. Più forti in classifica, più forti nei numeri. Più forti anche senza di lui? Ecco l’interrogativo che ha scavato l’angoscia di Galliani e di Allegri.
Per il profeta del nuovo Milan, la Champions, finita a Londra nella sera incolore sua e dell’attacco milanista, è già un capitolo chiuso. «Ormai non ci penso più, penso infatti che vincerà il Barcellona questa volta. Perchè? Semplice: è la squadra più forte e pratica il calcio migliore»: non gli ha fatto velo neanche il divorzio traumatico da Guardiola. Da Stoccolma è più dolce guardare oltre che alla coppa dei Campioni, anche al proprio futuro. «Smetterò quando sarò al top» è la sua promessa impreziosita dalla correzione successiva, «in verità è da 10 anni che sono al top». «Ho un contratto per altri tre anni col Milan ma del mio futuro non dico niente» la frase che può sembrare un modo per non restare impigliato in promesse da marinaio ed è invece una sorta di tic dello svedesone che non ha mai rispettato un contratto in vita sua. Sarebbe curioso se accadesse a Milanello il contrario. Anche perchè, nel frattempo, ha capito di «divertirsi poco col calcio anche se mi piace ancora giocare» e magari, aggiungiamo noi, guadagnare e collezionare trofei che dovrà conservare da qualche parte quando avrà smesso.


«A 35 anni non giocherò più e mi siederò a fumare anche se non è un bell’esempio per i miei ragazzi ma è la verità» è la sua ultima concessione alla platea che non lo considera più solo un ex ragazzo difficile dotato di un talento straordinario nel giocare a pallone.

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