Ibrido uomo-animale: l’Inghilterra dice sì

Blair: «Non vogliamo danneggiare l’immagine della ricerca britannica»

da Londra

Esulta la comunità scientifica britannica: il governo non vieterà la creazione del primo embrione chimera, l’ibrido - parte umano e parte animale - utile a sviluppare cellule staminali da utilizzare per nuove cure di malattie neurodegenerative. Con una decisione a sorpresa, dopo mesi di proteste e polemiche, l’esecutivo di Tony Blair ha preferito non assumere una posizione che avrebbe potuto «danneggiare gravemente l’immagine internazionale della ricerca britannica», all’avanguardia nello studio della genetica. Non un pieno appoggio alla sperimentazione, dunque, ma neppure una condanna a priori e senza appello: una posizione, quella del governo, che - ricorda il Times - contraddice la pronta censura del sottosegretario alla Salute, Caroline Flint, che lo scorso dicembre aveva minacciato di ricorrere ad una modifica legislativa pur di bloccare l’embrione chimera. Una sfida che aveva provocato la dura reazione della comunità scientifica. «Un crudele affronto ai malati», la risposta dei ricercatori che nel frattempo avevano chiesto il permesso di effettuare gli esperimenti all’Authority britannica per la Fecondazione e Embriologia Umana (HFEA) per un periodo di tre anni. In gennaio, poi, 45 personalità del mondo della scienza, della cultura e della politica avevano aderito ad un manifesto per la libertà di ricerca. Ora la sterzata imposta dal Premier Blair, da sempre convinto sostenitore della ricerca sulle staminali, che avrebbe anche bacchettato i titolari del Ministero della Salute per non aver colto l’importanza degli studi sull’embrione chimera. L’obiettivo più immediato è trovare una scorciatoia affinché la ricerca non rallenti, anzi possa ottenere al più presto tutte le autorizzazioni necessarie. Ritenuto da alcuni «eticamente mostruoso», l’idea dell’embrione chimera nasce dalla cronica difficoltà a disporre di un numero adeguato di ovuli umani dal momento che le donatrici debbono subire un piccolo intervento chirurgico. Da qui l’intuizione degli scienziati inglesi a ricorrere a ovuli di mucca. Una soluzione, quella bovina, che rappresenta anche un escamotage tecnicamente più semplice. Inserendo il dna umano in un ovulo bovino, da cui è stato rimosso tutto il materiale genetico originale, gli scienziati contano di ottenere un embrione al 99,9 per cento umano, con minime tracce di dna bovino, ma solo all’esterno del nucleo cellulare. Un embrione, che verrebbe distrutto al sesto giorno di vita, dal quale creare linee di staminali. Nel frattempo l’Authority per la Fecondazione ha annunciato l’avvio di una serie di consultazioni pubbliche prima di erogare le licenze.

Piuttosto che subire le continue pressioni dei gruppi pro e contro, la HFEA intende promuovere, attraverso le sovvenzioni garantite dal governo, un dibattito pubblico che coinvolga larghe giurie, imparziali e preparate, di semplici cittadini.

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