Per concessione dell'editore HarperCollins pubblichiamo un brano del libro-conversazione "Ennio, un maestro (pagg. 334, euro 18,50) in cui il regista Giuseppe Tornatore dialoga con il compositore Ennio Morricone. Musica, cinema e non solo.
Che ne pensi della musica che si fa oggi al sintetizzatore, e al computer?
«È un cambio, una trasformazione. L'uso dei sintetizzatori è importantissimo, ma dipende sempre da chi li usa e come li usa. Uno strumento elettronico dà possibilità enormi, produce suoni inesistenti, fuori dalla portata dell'orchestra, quindi concede al compositore timbri inaspettati. Non mi piace invece che il sintetizzatore imiti l'orchestra, che faccia suoni che esistono già con l'orchestra. Preferisco l'esecutore e l'orchestra giusta. Ma a volte gli editori musicali, i produttori, non vogliono spendere soldi per la musica, intendono risparmiare a ogni costo, e quindi tutto questo induce a usare il sintetizzatore come strumento che riassume il suono dell'orchestra».
Una volta mi hai confessato che ti sarebbe piaciuto fare tutto un film per quartetto d'archi o per quintetto. E non l'hai fatto mai.
«Ho fatto film importanti in cui il costo della musica era davvero notevole, ma nessuno m'ha mai negato i soldi che bisognava spendere. Questo accadeva soprattutto con registi importanti. Come ti dicevo, non ho mai sprecato, né risparmiato, ho fatto ciò che mi pareva necessario. Il quartetto d'archi mi sarebbe piaciuto anche in un film, ma non per risparmiare un'orchestra di cinquanta o sessanta elementi. Il quartetto d'archi è un organico eccitante per un compositore, fondamentale. È vero, ho sempre l'idea di scrivere la musica di un film per un quartetto d'archi, ma fin qui questa possibilità non c'è stata. Nessun regista me l'ha chiesto, e io non ho mai riconosciuto la possibilità di applicarla a un film. Ho scritto pezzi per quartetto d'archi, ma mai tutto un film».
Il momento più strano in cui ricordi di aver scritto musica...
«Un giorno andavo a pagare il gas a piazza Barberini, lì mi è venuto in testa un tema. Il tema di Se telefonando, che mi aveva chiesto Mina. Cercavo nella mia mente, pensavo a questo pezzo che voleva la Rai come sigla di una trasmissione. Sei a caccia di un'idea e quella viene fuori quando meno te l'aspetti».
Quando ti vengono idee non hai subito il bisogno di scriverle?
«Alcune volte no. Ma dormo sempre con della carta da musica sul comodino, potrei svegliarmi nel cuore della notte e allora devo essere pronto a scrivere due, tre note di uno spunto iniziale, che poi svilupperò in un altro momento. Non tanto spesso, ma è capitato».
E dai sogni hai mai raccolto idee?
«Come Tartini e Il trillo del diavolo? No, a me non è mai capitato. E tra l'altro se accadesse, avrei dei sospetti, potrebbe trattarsi del sogno di qualcosa che conoscevo già e che non ricordavo. Sarebbe pericoloso, eviterei una cosa simile».
Giusto, interessante. Ma il legame tra il sonno e la tua musica Sergio Leone lo aveva colto. Ricordi quel famoso sonetto che ti ha dedicato? «T'ho visto dormi'/ su li banchi de la scola,/ t'ho sentito russa'/ mentre stavi in moviola./ Ma 'ste musiche belle/ 'sti magnifichi sòni/ ma quanno li componi?»
«Questa strofetta nasce dal missaggio di Giù la testa. Lui mixava, io ero nella sala a guardare, dopo avrei dato il mio parere. Ma si stava facendo tardissimo, e a un certo punto mi sono addormentato, Sergio intanto continuava a mixare con Fausto Ancillai. Gli scherzi di Leone erano rari, però quello fu carino. Era ormai l'una del mattino, io dormivo, lui col microfono ululava: Morricone, hai fatto una brutta musica. Ma che roba hai fatto?. Parlava col tono che hanno i fantasmi nei film, voleva che la sua voce mi arrivasse come in un sogno. Hai fatto una brutta musica. Bruttissima sussurrava. Mi svegliai e mi invitarono al bar che restava aperto fino alle due a prendere un cappuccino. Va spiegata una cosa: io la sera ho sempre sonno, fin da quando avevo dodici o tredici anni, all'epoca in cui la sera lavoravo per i tedeschi o per gli americani e suonavo fino alle due o le tre di notte. Poi la mattina mi alzavo presto, andavo al conservatorio, e al pomeriggio dovevo fare i compiti. Insomma, dormivo poco e da allora mi è rimasto il vizio di avere sonno. Adesso mi alzo alle quattro del mattino, e alle dieci della sera chiudo. Se ho un invito a cena, resto sveglio, non mi metto a dormire. Però il mattino dopo mi alzo comunque alle quattro».
Altri tuoi amici registi spesso ti hanno fatto qualche scherzo...
«Elio Petri me ne fece uno terribile. Ma terribile. Mi fece capire quanto il compositore sia sottoposto al regista. Un giorno non mi volle al missaggio di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Ha proprio detto: No, tu non venire. Io allora rimasi a casa. Poi mi chiamò per dirmi che mi avrebbe fatto vedere il film finito. A quel tempo ancora c'erano i rulli, ognuno durava circa dieci minuti, Elio mi fece vedere il primo. Ma aveva cambiato la musica. Aveva messo quella di un film sconosciuto che avevo fatto tempo prima alla Fono Roma. Prese il nastro magnetico e lo attaccò sul primo rullo, ricordo che c'era un coro. Gli dissi: Elio, ma che è 'sta roba?. E lui, entusiasta: Non è bellissima, Ennio? Non senti che bellezza?. Scusa insistevo, ma che c'entra? Che sta' a fa'? Devo aver detto pure qualche parolaccia. Lui ripeteva che era fantastica: Guarda come funziona 'sto coro che canta, mentre la Bolkan sta per essere ammazzata. Intanto Ruggero Mastroianni alla mia sinistra, diceva: Ennio, davvero non ti accorgi che è così straordinario?. Sembravano tutti matti, non capivano che invece era una fesseria, 'sta sciocchezza infinita, totale. E poi, disperato, aggiunsi: Se vi fa impazzire tanto, fate come vi pare, ma questa è comunque musica di un altro film, non la possiamo mettere. Eppure stavo cedendo, stavo per dire: Fa' come ti pare, se proprio la mia musica non ti è piaciuta. L'editore protesterà, ha speso inutilmente denaro per la musica che ho scritto. E un altro editore, quello dell'altro film, si arrabbierà perché gliel'avete rubata. Ero alla resa, credimi, ormai quasi senza armi. A un tratto Elio accese la luce e mi disse qualcosa che ricordo sempre con commozione: Ennio, hai fatto la migliore musica che è possibile immaginare, ora prendimi a schiaffi. Non so perché avesse pensato a quello scherzo, ma quel giorno ho capito che il compositore resta sempre e comunque al servizio del regista. Perché io davvero stavo cedendo. E se la mia musica davvero non gli fosse piaciuta, non avrei potuto far proprio nulla». (...)
Anche tu hai fatto qualche scherzo pesante...
«Dovevo fare un disco per la Rca, in cui c'era un assolo di tromba importante. L'orchestra non c'era, la tromba andava in sovrapposizione, io ero in control room con il fonico. Abbiamo ascoltato e c'era già la buona, quindi dico a Nino Culasso, il trombista: Nino, è buonissima. Però me ne fai una un pochino più piano, per favore?. Lui eseguì più piano. È buona anche questa gli faccio, ce la teniamo. Ma puoi farne una ancora più piano? Lui tranquillo, senza dir niente, eseguì ancora più piano. Insomma, facemmo andare avanti questa storia ancora tre o quattro volte. A un tratto lui non poteva più suonare, staccava, suonava col bocchino della tromba più lontano tentando di fare sempre più piano. Solo dopo averlo estenuato gli abbiamo detto che stavamo scherzando. Ma fu incredibile la sua modestia, accettò ogni osservazione senza alcuna protesta».
Non è il solo, Ennio. So che ne hai fatti altri...
«Successe quando per la prima volta dirigevo l'orchestra di un programma Rai. Era un settimanale, gli arrangiamenti del programma tantissimi. Mi ci vollero tre mesi a farli tutti. Nell'orchestra, il primo trombone Mario Midana era un tipo distratto, parlava fino all'ultimo momento, però attaccava preciso, non mancava mai a un attacco. Io che suonavo la tromba avevo bisogno di prepararla sulle labbra un istante prima, e sapevo che anche altri colleghi si prendono del tempo. La prima tromba del Teatro dell'Opera aveva addirittura bisogno di piegare la testa per posizionare bene il bocchino sulla bocca, dopodiché suonava. Invece questo primo trombone in un attimo porta la tromba alla bocca e suona subito bene. Mi dava sui nervi. In più spesso parlava con Enzo Forte, il secondo trombone che aveva accanto. Ero scandalizzato, irritato da tutto questo. Così diffusi la voce tra gli orchestrali che direttore generale e presidente della Rai avevano dei telefoni speciali sulle loro scrivanie. Spingevano un tasto e sentivano la grande sala, ne spingevano un altro e sentivano la sala più piccola, con un altro ancora sentivano il Foro Italico, insomma potevano controllarci quando volevano. Poi dissi al fonico di sistemare segretamente un microfono direzionato alla bocca del primo trombone Mario Midana, confondendolo con il microfono dei tromboni. Lui continuava a parlare con Forte, non sapeva che adesso era mio complice e lo provocava: Tu per chi voti? Io voto per i comunisti, non mi frega niente, di questi preti non mi frega proprio niente. Lo spingeva a dir cose imbarazzanti, compromettenti. Ma feci di più. Negli intervalli si formavano i vari capannelli dei professori d'orchestra, e su mia indicazione, appena lo vedevano arrivare, dovevano allontanarsi e fare in modo che restasse solo. Lui allora si avvicinava a un altro gruppetto, e anche questo si allontanava, lasciandolo solo. Lui si vedeva che era disturbato, disorientato, non immaginava ciò che sarebbe successo. L'ultimo giorno l'ispettore di sala consegnò il nastro in cui il fonico aveva montato tutti i pezzi con la voce registrata del primo trombone. Ne era venuto fuori un nastro smisurato, realizzato lungo tutta la serie di trasmissioni. Lo mandi su istruisco, verrò ad ascoltarlo a fine registrazione. Il primo trombone avvertiva che qualcosa era successo: perché i suoi colleghi continuavano ad allontanarsi ogni volta che lui si avvicinava. Compreso il secondo trombone, un napoletano furbetto che recitava meravigliosamente la sua parte. Finì il turno. A quel punto dissi all'ispettore: Vado su ad ascoltare quello che ha registrato il fonico. L'orchestra non vedeva l'ora di assistere al risultato, c'era ovviamente anche il primo trombone. Ascoltammo tutti insieme la sua voce, registrata a sua insaputa. Parlava male di tutti, della Rai, dei dirigenti, della Democrazia Cristiana, dei preti, diceva che era comunista. Una cosa pericolosa per quei tempi.
Dopo siamo scesi tutti in strada. Lo guardavamo. Era disperato. Gli faccio: Mario, guarda che t'avevo avvertito di non parlare, che dall'alto ci controllavano. Mi cacceranno via disse mortificato. Dopo un po' gli svelai che era solo uno scherzo».
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