Periodicamente i linguisti scoprono nelle lingue fenomeni «inusuali», inspiegabili alla luce delle teorie correnti. Ed è naturale che ciò avvenga più spesso con quegli idiomi parlati da piccoli gruppi etnici lontani o emarginati dalla civiltà occidentale. Uno di essi è il Mam, una lingua maya del Guatemala, che conta 150.000 parlanti. Il Mam è stato oggetto di studi accurati da parte di due ricercatrici, che hanno lavorato indipendentemente luna dallaltra: Una Canger dellUniversità di Copenhagen e Nora England, docente allUniversità di Austin nel Texas. La Canger ha scritto in merito un saggio dal titolo significativo, Some languages do not respect the designs of linguists, difficilmente accessibile causa la limitata circolazione della rivista su cui è uscito, Tidsskrift for Sprogforskning (5, 2007). La England ha compilato lunica grammatica del Mam oggi esistente e ha messo in evidenza tutto il potenziale espressivo della lingua con un saggio sullInternational Journal of American Linguistics (75, 2, 2009).
Il Mam sembra refrattario a quei termini generali che sono comuni nelle lingue indoeuropee. Ad esempio, non ha una parola per «giacere, stare disteso». In alternativa cè da scegliere tra vari termini, per usare i quali bisogna distinguere in che modo si è distesi: allungati, sulla pancia, supini, di fianco, ecc. La tendenza rasenta linverosimile: per lo «stare in piedi» ad esempio, cè uninfinità di termini che precisano se si sta in piedi con la testa alta o inclinata, se su due gambe o su una gamba sola; e se si tratta di un uomo, di una donna o di un animale.
«Il fatto che i parlanti Mam abbiano uninsaziabile bisogno di sempre più fini elaborazioni delle varie impressioni visuali è per me affascinante, ma inspiegabile», dice la Canger. Sembra insomma che in Mam non ci sia posto per le idee generali. Si tratta di unincapacità di astrazione? Facile, ma sbagliato, dedurne quellinferiorità intellettuale che una volta si attribuiva alle cosiddette lingue primitive (leggi extraeuropee). Un vocabolario così «descrittivo» ci fa piuttosto toccare con mano la relatività dei nostri concetti (linguistici) e confina nel mondo dellutopia le idee di una lingua mentalis eguale per tutti gli uomini, teorizzata per la prima volta da Leibniz e rispolverata sotto varie forme da filosofi e linguisti, per non parlare di esperantisti ed altri consimili teorici di «lingue universali». Tutte queste concezioni sono strettamente legate ad un eurocentrismo di cui, se vogliamo progredire nelle conoscenze, dovremo liberarci. Gli antropologi ne hanno preso piena coscienza. Non così i linguisti, che faticano a «decolonizzare» la propria disciplina.
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