«Gli immigrati fanno ricca Brescia ma il prezzo è l’aumento dei delitti»

Beccalossi: «Gli italiani lasciano la città. Non si sentono sicuri»

Gianandrea Zagato

da Milano

Sono i numeri che danno più di ogni altra cosa il polso della situazione. E a Brescia sono ventiseimila gli immigrati regolari su centonovantamila abitanti, che in percentuale fa il dodici virgola sei per cento. Niente male davvero: Milano si ferma all’undici e Roma poco sotto. Traduzione del Censis: «Brescia è tra i capoluoghi italiani quello che ha il maggior numero di stranieri rispetto alla popolazione residente». Analisi che Viviana Beccalossi declina in un’immagine: «Eravamo la capitale economica del Paese, con in val Trompia un’azienda ogni sette abitanti, be’ adesso siamo diventati la capitale multietnica del Paese dove si registra un delitto via l’altro e tutti firmati da immigrati».
Trasformazione che il vicepresidente della Regione Lombardia accompagna a un’altra fotografia, «i bresciani doc non s’incontrano più lungo via Zanardelli, le vasche si sono trasferite in provincia, in comuni che, forse, non diranno nulla ai lettori - Orzinuovi, Manerbio e Palazzolo -: piccole realtà locali che per i bresciani offrono però piazze e strade più belle, più pulite e ordinate. Ah, dimenticavo: il centro storico di Brescia è invaso dagli stranieri, le "firme" storiche sono scomparse e passeggiare da piazza Loggia su a San Faustino vuol dire entrare dentro un’altra città, tutta esclusivamente extracomunitaria».
Ma, attenzione, «guai a vagheggiare di razzismo» avverte Beccalossi: «È il prezzo che Brescia paga suo malgrado». Come dire: «Se non sono scomparse piccole e medie aziende agricole lo si deve agli stranieri che fanno quei lavori ormai disprezzati dagli italiani. E lo stesso vale per gli altiforni o le imprese manifatturiere, dove la manodopera dei lavoratori immigrati è diventata sempre più determinante». Domandina: ma i fatti tragici che si susseguono non sono magari frutto anche di una integrazione poco efficace? Risposta: «Mi preoccupa chi parla con superficialità di integrazione senza avere però riflettuto sulle condizioni indispensabili per farlo nel modo serio. Che, in soldoni, significa avere un problema concreto con chi fatica ad accettare e rispettare non solo le leggi del nostro Paese ma soprattutto l’identità e i valori nazionali».
Virgolettato che l’ex candidata a sindaco di Brescia identifica «soprattutto» nel mondo musulmano: «Non ci sono mai problemi con immigrati cattolici ma sempre e solo con quelli di religione islamica, che non accettano il rispetto delle nostre regole e che si muovono in direzione contraria ai nostri valori». E il modello d’integrazione, continua Beccalossi, appare sempre più come «un tentativo d’assecondare le loro esigenze». Dato di fatto che va di pari passo, secondo l’esponente di An, con «la mancanza di un segnale di fermezza»: «Per questo chiedo al governo in nome e per conto dei miei concittadini di aumentare il numero delle forze dell’ordine presenti su un territorio che ha il più alto rapporto di presenze tra cittadini italiani e immigrati extracomunitari mentre la magistratura deve accelerare i tempi dei giudizi su queste tristi vicende». Richiesta per «dare un segnale forte a una città che guarda con timore al susseguirsi di episodi dolorosi». Altrimenti? «Continuerà Brescia a vivere nella rassegnazione, a non far più le vasche nel centro storico e affollare gli outlet della nostra provincia».

Futuro dettato con tristezza al cronista ma anche con una certezza, «quella di dover governare il fenomeno immigrazione nella consapevolezza che oltre una certa soglia di accoglienza non si può andare perché altrimenti si scoppia». Valutazione dalla Brescia capitale multietnica d’Italia, dove non viene meno la solidarietà verso l’immigrato ma dove si reclama «fermezza nei confronti di ogni episodio di criminalità».

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