Impariamo dalla fata Turchina

Se andasse al governo la fata tur­china con un golpe di seta e di ra­so, metterebbe all'incanto il patrimo­nio statale, dimezzerebbe la corte, al­lungherebbe la vita lavorativa e poi fa­rebbe una dorata magia

Impariamo dalla fata Turchina

Se andasse al governo la fata tur­china con un golpe di seta e di ra­so, metterebbe all'incanto il patrimo­nio statale, dimezzerebbe la corte, al­lungherebbe la vita lavorativa e poi fa­rebbe una dorata magia. Anziché li­mitarsi al pareggio in bilancio, già con gli enormi beni venduti, raddop­pierebbe le entrate necessarie. E me­tà le userebbe in difesa, per coprire il debito; l'altra metà le userebbe all'at­tacco, per rilanciare il paese, l'occu­pazione, le grandi opere. Perché se giochi solo in difesa, pensa la soave fa­tina, alla fine stai al punto di prima e ricadi nella miseria passata. La gente rattrappisce, la vita si mummifica, il paese si ritira in una risacca di depres­sione e perde fiducia, non osa il futu­ro ma si barrica a difendere il passato e i beni che ha, gli uni contro gli altri.

E invece qui si deve aprire il castello, slanciarsi nei prati e non alzare il pon­t­e levatoio né preparare l'olio bollen­te. La fata turchina, scendendo dalla sua carrozza di zucca condotta da ala­ti cerbiatti, lancerebbe sulla punta stellata della sua magica bacchetta messaggi di oro e di miele: lavoro ai ra­gazzi, fiducia nel legame sociale, tute­liamo i più deboli e premiamo i mi­gliori, osate l'impresa, mangiate più frutta e sognate la vita. È solo una favo­la, direte voi che siete già adulti.

Ma chissà che le favole a volte non inse­gnino, come a Pollicino, a ritrovare la strada. (Ma a Tremonti non dona il velo turchino e la veste di tulle, Bossi sta male da alato cerbiatto e il Cavaliere si farebbe sul posto la leggiadra fati­na).

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