Marcello Foa
Un messaggio e una speranza. Ma anche un monito. Il destinatario è, come accade da una decina di giorni, la Corea del Nord. Ma lavvertimento porta con sé una novità: per la prima volta il presidente Bush cita apertamente leventualità che le armi nucleari possano finire allIran o ad Al Qaida. La prospettiva è remota, ma inaccettabile. «Impediremo che ciò accada», dichiara in unintervista al network televisivo Abc, e promette di «impiegare tutti i mezzi necessari a tale scopo» e «intercettando senza esitazioni le navi o gli aerei che dovessero trafficare con terzi». In ogni caso «Pyongyang sarebbe chiamata a risponderne. E le conseguenze sarebbero gravi». Tutto ciò mentre i toni del regime nordcoreano rimangono minacciosi. «Guerra inevitabile - annuncia alla tv Abc un generale nordcoreano - se gli Usa insistono nel chiederci di inginocchiarci».
Ma nellimmediato Washington mira a circoscrivere la crisi atomica con la Corea del Nord. Per questa ragione il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice è stata inviata in missione in Asia. Ieri era a Seul, a pochi chilometri dal confine con il Paese che nel 2001 incluse tra quelli dellAsse del Male, assieme allIrak di Saddam Hussein e allIran. La parola dordine è: diplomazia. E inaspettatamente lAmerica torna ad offrire il dialogo al dittatore Kim Jong Il «Per noi la strada del negoziato è ancora aperta», dichiara in una conferenza stampa congiunta con Ban Ki-moon, il ministro degli Esteri di Seul e futuro segretario generale dellOnu. Poi «Condi» assicura che «gli Usa non vogliono unescalation».
E nel formulare questo auspicio, il pensiero va alla Cina, con cui Washington si è coordinata sin dal 9 ottobre, quando la corea del Nord ha compiuto il test nucleare sotterraneo che ha dato avvio alla crisi. Il dialogo sino-americano non è stato sempre facile, come in occasione della stesura della risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma in questa vicenda le due potenze perseguono gli stessi interessi e si sforzano di muoversi in sintonia.
Ieri lex ministro degli Esteri cinese Tang Xixuan, rappresentante personale del presidente Hu Jintao, ha incontrato a Pyongyang Kim Jong Il. È il primo contatto diretto ad alto livello tra due governi che fino a pochi mesi fa vantavano una relazione privilegiata. Pechino era lunico vero, grande alleato della Corea del Nord; di fatto il protettore. Poi il rapporto si è incrinato, ma Hu Jintao è rimasto lunico capo di Stato al mondo in grado di influenzare limprevedibile dittatore di Pyongyang e ieri ha deciso che era il momento di far valere questa prerogativa. I comunicati ufficiali non svelano i contenuti dei colloqui, se non che sono state discusse questioni legate «alla sicurezza nella penisola nordcoreana, oltre a una serie di problemi internazionali di comune interesse». La propaganda nordcoreana sottolinea «latmosfera amichevole» degli incontri e «i sentimenti di gratitudine e cordialità della Corea del Nord», ma a Pechino i portavoce descrivono la visita come «molto significativa» e avvertono che il presidente cinese ha inviato «un messaggio personale a Kim» oltre che un dono «preparato appositamente».
Lobiettivo immediato dei cinesi è di convincere Kim Jong Il a non compiere un secondo test nucleare, proprio mentre giungono nuove inquietanti indiscrezioni da Washington e da Seul, secondo cui i militari di Pyongyang ne starebbero preparando addirittura tre.
La Rice propria oggi è attesa a Pechino: sarà la prima a sapere se la mediazione della Cina ha portato i risultati sperati. In ogni caso Washington terrà alta la guardia.
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