Imprenditore ucciso, l’ombra dell’usura

Una fine terribile, impossibile da dimenticare. Una famiglia distrutta. «Siamo ancora molto provati: subito dopo il funerale di mio fratello non ho più letto un giornale, più guardato la tivù...Non riesco a non emozionarmi: il prossimo sarà il primo Natale senza di lui e ancora non ce la faccio ad accettarlo».
Cesare, 36 anni, è uno dei cinque fratelli (quattro maschi e una femmina) di Giovanni Ghilardi, 42enne bergamasco di Lonno di Nembro, una graziosa località bergamasca della Val Seriana, a 800 metri d’altezza. Giovanni - che come i fratelli si dava da fare nell’impresa edile di famiglia di Alzano Lombardo - è morto all’inizio dell’anno. È stato ammazzato con due colpi di pistola alla tempia, come in una vera e propria esecuzione. Il cadavere è stato ritrovato mercoledì 10 febbraio chiuso nel baule della sua Land Rover parcheggiata nella zona industriale di Gessate, dopo un casuale controllo della polizia municipale che volle accertare a chi apparteneva quella vettura ferma lì da troppi giorni: guardando attentamente dentro la vettura i vigili scorsero una mano tra la tendina del bagagliaio e il sedile posteriore e così avvertirono i carabinieri di Cassano d’Adda.
«Sono andato io a riconoscere il corpo - spiega ancora Cesare commosso -. È qualcosa che non dimenticherò mai».
Giovanni Ghilardi non aveva più dato notizie di sé dal 6 gennaio scorso. Il giorno dell’Epifania, infatti, si era allontanato dalla villetta di via Leonardo da Vinci, a Lonno di Nembro, dove lui, celibe e pare senza legami sentimentali, era rimasto a vivere (unico tra i fratelli) con i genitori, Giorgio e Natalina. «Vado a vedere l’Inter» aveva detto. E da allora nessuno l’aveva più visto.
La prima a insospettirsi della sua assenza fu la madre: Giovanni aveva una casa ad Alzano Lombardo e anche a Milano, ma tornava sempre a dormire a Lonno, dai genitori. Così, quella stessa sera, la signora Natalina prova a telefonargli. Il cellulare di Ghilardi squilla a vuoto per due giorni, poi probabilmente si scarica. Così l’8 gennaio uno dei fratelli ne denuncia la sparizione ai carabinieri.
Per un po’ la famiglia aspetta il suo ritorno. Giovanni, che nell’azienda si occupa soprattutto di compravendite immobiliari, è un tipo taciturno, con pochi amici. Anche a casa parla poco. A Lonno lo descrivono come un uomo tranquillo, prudente. Un uomo con un passato da dimenticare: nel 1994, era stato arrestato per la rapina dell’ottobre ’91, alla sede centrale della Banca popolare udinese, nel capoluogo di provincia friulano. La vicenda aveva suscitato scalpore per il bottino, che si aggirava sui 2 miliardi di vecchie lire (circa un milione di euro) e per il coinvolgimento di un altro bergamasco. Il processo evidenziò però che le colpe di Ghilardi erano di gran lunga inferiori a quelle degli altri tre complici e il giovane, dopo aver scontato pochi anni di galera, venne assolto. Da allora non aveva più fatto parlare di sé per motivi legati alla legge. Anzi: è morto prima di sapere di aver vinto 150mila euro in una causa di risarcimento riguardante proprio quel caso.
In questi mesi i carabinieri del nucleo investigativo di Monza hanno preso in esame, analizzandola in lungo e in largo, tutta la vita di Giovanni Ghilardi, per cercare almeno di comprendere in quale direzione orientarsi nelle indagini su un assassinio tanto spietato. Poiché l’auto era stata ritrovata a Gessate, nel Milanese, l’inchiesta non trascura quella zona, per poi però spostarsi definitivamente nella bergamasca. L’elemento che colpisce subito l’interesse dei militari emerge dall’analisi dei conti bancari dell’uomo: Ghilardi aveva messo da parte una bella somma di denaro. Era un uomo che lavorava, un imprenditore, è vero, ma i soldi trovati in suo possesso non erano esattamente quelli che poteva aver risparmiato un uomo che deve dividere i suoi introiti con altri 5 fratelli. Le indagini procedono tuttora e sono incentrate esclusivamente su un universo dalle tinte molto fosche: quello dell’usura. Sembra che Ghilardi prestasse denaro a tassi d’interesse eccessivi, illeciti. Forse si era introdotto in quell’ambiente proprio per ottenere un prestito, ma in breve sarebbe diventato lui stesso uno strozzino. Soldi presi in prestito, soldi prestati: il movente di questo terribile omicidio-esecuzione sta tutto lì.

Ma ancora gli investigatori non hanno elementi per accusare qualcuno del suo omicidio.
«Abbiamo molta fiducia nei carabinieri e nelle loro indagini - conclude Cesare Ghilardi -. E aspettiamo che si scopra la verità e venga fatta giustizia. Quella vera».

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