Imu, l’acconto di giugno sarà la metà della vecchia Ici

RomaL’acconto di giugno dell’Imu si pagherà calcolato sulle aliquote di base e con la detrazione già fissata per la prima abitazione. Lo prevede un emendamento dei relatori al decreto legge fiscale Antonio Azzollini (Pdl) e Mario Baldassarri (Terzo Polo-Fli), ed è il risultato più importante di una lunga riunione svoltasi ieri sera a Palazzo Chigi tra i due relatori del dl ed esponenti del governo, tra i quali il viceministro all’Economia, Vittorio Grilli, e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda. Sul tavolo, il decreto legge in materia fiscale che nelle prossime ore approderà a Palazzo Madama, dapprima nelle commissioni e quindi in aula per un’approvazione che potrebbe avvenire domani ma che più probabilmente slitterà a giovedì.
L’emendamento prevede quindi che entro il 16 giugno, data della scadenza della prima rata, i possessori di un immobile paghino il 50 per cento dell’importo ottenuto applicando le aliquote di base e la detrazione previste, senza sanzioni o interessi su eventuali differenze. Entro il 31 luglio sarà emanato un Dpcm che, in base al gettito dell’acconto, modificherà le aliquote e definirà variazioni e detrazioni. Una proposta questa fatta dal governo e «annessa» dai relatori come emendamento, che rappresenta una prima schiarita sulla nuova imposta sugli immobili contestata nella sostanza e nella forma. Perché non solo rappresenta l’ennesima stangata per gli italiani, che negli ultimi anni avevano perso l’abitudine di pagare la tassa sulla prima casa, ma almeno fino a ieri non c’era nemmeno chiarezza sul come e sul quanto pagare, tanto da far parlare il leghista Roberto Maroni di «imperdonabile superficialità» e il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri di «sconcertante imperizia». Tra le modifiche di cui si discute, ci sarebbe anche lo sbianchettamento di uno dei provvedimenti più odiosi, vale a dire il pagamento dell’Imu da parte dei Comuni per le case popolari di loro proprietà, finora esenti dal tasse. Lo Stato rinuncerebbe così al proprio 50 per cento.
Correttivi che addolciscono appena una pillola molto amara per gli italiani. Che secondo la Cgia di Mestre costerà cara anche alle aziende (mediamente 1500 euro l’anno per le aziende, 949 per gli studi professionali e 569 per i commercianti).

E la cui abolizione è uno dei punti forti della raccolta firme annunciata a sostegno delle proposte di legge di iniziativa popolare depositate nelle scorse settimane in Corte di Cassazione, che avrà la sua giornata clou sabato 21 aprile, «attraverso un’enorme e capillare gazebata in tutto il territorio della Padania», come annuncia il coordinatore delle segreterie nazionali del Carroccio, Roberto Calderoli, che si augura la «risposta dei cittadini» a «un governo nominato dal Palazzo e mai votato dai cittadini medesimi».

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