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Incerta e disinformata Ecco perché l’America non vuole intervenire

Incerta e disinformata Ecco perché l’America non vuole intervenire

di Vittorio Dan Segre

Il nuovo incontrollabile protagonista nella drammatica situazione egiziana è la paura. Da una parte c’è la paura assieme al rispetto dell'autorità costituita che i rivoltosi hanno perduto. Dall’altra c’è la paura e il crollo di prestigio che attanagliano i militari assieme alle classi abbienti e le amministrazioni nella valle del Nilo. Il punto comune fra potere e piazza che si confrontano è la confusione. La piazza non è un fronte. Non la unisce altro che la comune rabbia e desiderio di giustizia e vendetta. I Fratelli musulmani che hanno dato fuoco alle polveri con la manifestazione di «un milione in piazza Tahrir» di sabato scorso hanno annunciato che non parteciperanno più a manifestazioni atte a provocare vittime. Non vogliono rompere la fragile e opportunista alleanza coi militari di cui sanno di aver bisogno una volta al potere. Quanto ai cosiddetti «movimenti laici» - giovani, intellettuali arrabbiati, gente disoccupata che non ha nulla da guadagnare se non istanti di dignità antica e di identità nuova - tutti questi gruppi hanno sprecato i mesi dal tempo della caduta di Mubarak in vani conati politici privi di strutture leader e idee costruttive. Sono «contro» ignari di politica e inebriati dalla rivoluzione, sessantottini senza ideologie e reciproco rispetto religioso, ben lontani dall’immagine che se ne fanno i media occidentali.
La Giunta militare erede corrotta e ingrassata della Giunta nasserista del 1952 ha contrariamente al modello originale tutto da perdere e nulla da guadagnare. Ha commesso esitazioni e errori nel condurre la transizione. I suoi alleati sono oggi le classi medie preoccupate soprattutto dal crollo della sicurezza urbana, dalla crisi economica, dalla perdita di prestigio nazionale. Cercano un nuovo «faraone» dal pugno di ferro che per il momento non c’è. Sarà difficile a emergere perché nel corso dei millenni il faraone è sempre stato «generato» dalle campagne che il dio Nilo creava. Oggi un terzo degli 80 milioni di egiziani vive in centri urbani, dove l'acqua da bere non arriva, i servizi sociali sono di livello africano, e i campi fioriti la gente li vede in TV. L’alternativa politica parrebbe essere o il ritiro dei militari dal potere e un lungo periodo di tensione politica e interconfessionale o il loro mantenimento col ritorno di una stato di emergenza accompagnato dal ritrovamento di un nemico su cui tentare di dirigere le passioni delle folle. Israele e l’America sono i più facili anche se finanziariamente più utili bersagli tanto per i Fratelli musulmani quanto per un candidato laico alla presidenza gettonato come Mussa Amr ex ministro degli esteri di Mubarak e Segretario della sinora impotente Lega Araba. Washington presa fra il desiderio di ritrovare simpatie sostenendo piazza e moschea e quello di non perdere influenza sui militari che foraggia con 1200 milioni di dollari all'anno appare incerta e disinformata. Del resto con tutti i suoi apparati di intelligence e il suo denaro non ha neppure previsto ciò che è accaduto in Libano dove la CIA ha fornito ai servizi di sicurezza militari sofisticati sistemi di ascolto e controllo elettronico miranti a migliorare la sicurezza del Paese nei confronti dello spionaggio israeliano. Questi sistemi sono finiti nelle mani competenti degli Hezbollah aiutati dagli iraniani.

Con essi hanno abbattuto il governo pro occidentale del premier Hariri junior. Forse non è il disastro che si potrebbe immaginare se è ancora valida l'opinione di un ambasciatore americano di 20 anni fa: un libanese si può sempre comprare; possedere mai.

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