Inchiesta rifiuti, Impregilo esclusa per un anno dalle gare pubbliche

La Procura di Napoli ha anche sequestrato 750 milioni di euro. Contestati illeciti amministrativi per l'ipotesi truffa aggravata. Il Pm: complicità da parte di chi controllava

Inchiesta rifiuti, Impregilo esclusa per un anno dalle gare pubbliche

Napoli - Interdizione di un anno a contrattare con la pubblica amministrazione e sequestro di 750 milioni di euro. È questo l’esito giudiziario di un’inchiesta della Procura di Napoli nei confronti di alcune società del gruppo Impregilo, tra cui Fibe, Fisia e Fibe Campania, che gestiscono lo smaltimento dei rifiuti dei sette impianti di combustibile da rifiuti della Campania e la costruzione del termovalorizzatore di Acerra. Il gip Rosanna Saraceno ha accolto le richieste avanzate dai pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo, coordinati dal procuratore aggiunto Camillo Trapuzzano. Alle società sono contestati illeciti amministrativi derivanti da un’ipotesi di truffa aggravata.

L’interdizione dalla contrattazione è stata disposta in via cautelare e riguarda unicamente le attività legate allo smaltimento, al trattamento e al recupero energetico dei rifiuti. Il sequestro di circa 750 milioni di euro riguarda, invece, crediti vantati dalle società nei confronti di alcuni Comuni della Campania per l’attività di smaltimento dei rifiuti. Nel dettaglio, 53 milioni di euro sono per le spese anticipate dal commissariato di Governo per la costruzione degli impianti delle province campane; circa 302 milioni come tariffa di smaltimento regolarmente incassata; oltre 141 milioni riguardanti tariffe non ancora incassate, ma rintracciate grazie a documenti di crediti certi, liquidi ed esigibili; circa 100 milioni per altre spese sostenute dal commissariato di Governo; circa 52 milioni corrispondenti al mancato deposito cauzionale previsto dal contratto d’appalto e circa 104 milioni pari al valore del termovalorizzatore di Acerra.

Il Pm: complicità da parte di chi controllava Le presunte irregolarità delle società Impregilo nella gestione campana dei rifiuti sono state possibili, secondo le accuse della Procura di Napoli, «con la complicità e la connivenza di chi aveva l’obbligo di controllare e di intervenire e non l’ha fatto per troppo tempo». L’inchiesta, iniziata nel 2003, è stata avviata in seguito a numerose denunce sul funzionamento del trattamento dei rifiuti, delle discariche e dei siti di stoccaggio. Dalle indagini conseguenti emersero irregolarità sui prodotti di lavorazione che non possedevano le caratteristiche richieste dalla legge e dal contratto. Secondo i pm Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo esistevano, infatti, gli estremi per il reato di «frode in pubbliche forniture» che portarono al sequestro degli impianti, dissequestrati poi nel maggio 2004. Cominciò così una lunga battaglia legale che terminò con la risoluzione del rapporto contrattuale con le affidatarie Fibe, Fisia e Fibe Campania e il conseguente decreto legge del novembre 2005, convertito poi in legge nel gennaio 2006. Al termine della lunga indagine, durata circa 4 anni, è «apparso evidente che il comportamento delle società non appariva lineare». Secondo i magistrati, le società «pur essendo consapevoli, fin dall’inizio, che lo smaltimento dei rifiuti non avrebbe potuto funzionare, hanno fatto di tutto per dissimulare tale situazione». Un comportamento che si è protratto nel tempo «ponendo in essere una serie di artifici e raggiri per mantenere le posizioni raggiunte».

Tra gli indagati nell'inchiesta anche Bassolino Dopo il provvedimento cautelare di interdizione limitato a un anno e al solo settore dei rifiuti, il gip Saraceno a breve dovrebbe esprimersi sulle posizione dei 28 indagati in questo filone di inchiesta. Lo sottolinea il procuratore della Repubblica di Napoli Giovandomenico Lepore rispondendo a una specifica domanda dei giornalisti. «Ci sono tempi tecnici - dice - ma credo il gip si esprimerà presto». Tra le persone coinvolte, il presidente della giunta regionale Antonio Bassolino, nella sua qualità fino al 2004 di commissario di governo per l’emergenza rifiuti, i fratelli Piergiorgio e Paolo Romiti, proprietari di Impregilo, e gli allora amministratori delegati di Fibe e Fisia Armando Cattaneo e Roberto Ferraris.

Titolo sospeso Immediate le ripercussioni in Borsa con le azioni ordinarie, risparmio Impregilo e tutti gli strumenti finanziari collegati, sospesi intorno alle 11,15 per tutta la seduta e per l’After Hours in attesa di una nota, quando il titolo cedeva lo 0,15% a 6,725 euro con scambi pari allo 0,11% del capitale. Tutto questo dopo che ieri Standard & Poor’s aveva annunciato l’ingresso di Impregilo nell’S&P/Mib a partire dal prossimo 2 luglio al posto di Bpi che scomparirà in seguito alla fusione con Bpvn.

Ponzellini: "Ordinanza pesante" L’ordinanza del Tribunale di Napoli è stata definita «pesante» dal presidente di Impregilo Massimo Ponzellini a margine della assemblea straordinaria dei soci convocata oggi a Milano per approvare alcune modifiche allo statuto societario. Intanto domani in mattinata è in programma un cda del gruppo per esaminare il ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Napoli. «Nella mattinata di domani il cda esaminerà i termini con cui faremo ricorso contro l’ordinanza - ha spiegato il presidente Ponzellini - lì vedremo il da farsi». Ponzellini, che non ha ancora materialmente esaminato l’ordinanza di 413 pagine, ha ipotizzato che «i giudici hanno pensato che noi avessimo mal servito il committente, ovvero la Pubblica amministrazione». Il provvedimento depositato oggi dal Tribunale napoletano ha per oggetto il tema dello smaltimento dei rifiuti. In merito Ponzellini ha espresso fiducia nella magistratura perché «tutte le volte che fa un passo in avanti è un bene poiché si fa chiarezza». Nonostante le contestazioni mosse dalla magistratura a carico di Impregilo, il suo presidente ha rassicurato che «l’azienda continuerà a lavorare per lo smaltimento dei rifiuti che resta il nostro obiettivo principale».

In questa bufera giudiziaria c’è, a giudizio dello stesso Ponzellini, «un’unica nota positiva», ovvero che il termovalorizzatore di Acerra, nelle ultime settimane al centro delle cronache campane, «sembra non sia stato sequestrato».

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