«Buongiorno, qui è il comandante che vi parla. Vi informo che sono le 10.56 e state sorvolando l'Oceano Indiano, in rotta verso Nuova Dehli, a una velocità di 950km/h e a un'altezza di 11.000 metri. Se guardate alla vostra sinistra, potrete vedere il motore numero 1 che si sta spegnendo. Se invece volgete lo sguardo alla vostra destra, noterete che il motore numero 2 è in fiamme. Se infine osservate attentamente la superficie dell'oceano sotto di voi, potrete vedere un puntino giallo: si tratta di un gommone di salvataggio, ed è da lì che il vostro comandante vi ringrazia per aver scelto la nostra compagnia e vi augura buon proseguimento di volo...». Sembra una barzelletta, ma non lo è. Perché se siete costretti a prendere un aereo in India il minimo è allacciare le cinture di sicurezza, il massimo sgranare il rosario fino all’atterraggio. Perché il pilota che vi porta a destinazione potrebbe aver comprato la sua licenza di volo. Praticamente come quelli che si comprano la laurea, ma hanno dato si è no quattro esami.
Almeno così giura, non senza qualche imbarazzo, il Times of India che conclude la propria inchiesta sulle linee aeree indiane con una sentenza choc: 25 piloti attualmente in servizio di volo in India avrebbero acquistato il loro permesso di volare. O meglio, la conversione della loro originale licenza.
Secondo la legge indiana infatti i piloti provvisti di regolare Commercial Pilote Licence ottenuta all’estero hanno l’obbligo di esibire una certificazione indiana per essere assunti dalle locali compagnie aeree. Il processo di conversione delle licenze comprende esami teorici e alcune ore di volo da svolgere sotto la supervisione di un qualsiasi istruttore capo di volo riconosciuto da una autorità generale per l’aviazione civile.
Ma c’è un ma. Secondo il Times of India almeno 25 piloti attualmente in servizio sulle linee aeree indiane questa conversione non l’hanno fatta proprio per niente e invece di sostenere l’esame una seconda volta, hanno pagato una tangente all’istruttore. Che si è guardato bene dal fargli mettere piede su un aereo indiano. Secondo quanto ha denunciato alla polizia di Puna, Mark Carvalho, presidente della Carver Aviation, uno dei centri riconosciuti dall’autorità dell’aviazione civile e abilitati a consegnare le licenze, i 25 studenti stranieri avrebbero corrotto un pilota istruttore della sua società, il capitano Ashim Taxali, che li avrebbe in quattro e quattr’otto promossi senza esami. L’ufficiale si sarebbe messo in tasca 300mila rupie ad allievo, più o meno 6mila euro, per firmare i falsi certificati di volo. Unica nota confortante: la Carver Aviation nega però che i piloti fasulli o comunque non abilitati abbiano mai preso il volo con un aereo indiano.
Il problema semmai è un altro. Per autorizzare questi voli non basta la compiacenza dell’istruttore di volo, ma è necessaria anche la firma dei funzionari dell’aeroporto, in questo caso di Puna, nello Stato centrale del Maharasthra. Autorizzazioni che a quanto pare erano già sottoscritte. Morale: i corrotti sarebbero molti di più e a tutti i livelli.
C’è da dire che la colpa è anche del boom dell’aviazione civile che in India ha provocato la nascita negli ultimi quattro anni di una decina di compagnie aeree e che non conosce tregua. Ogni anno mancano all’appello almeno 600 piloti e 300 co-piloti e le compagnie, come se non bastasse, hanno già previsto l’acquisto di altri 480 aerei nei prossimi cinque anni. Da far guidare a chi ancora non si sa, visto che il 40% dei piloti sono stranieri, molti pure over 60, cioè piloti pensionati dai loro Paesi, soprattutto in Australia, e che in India hanno trovato una seconda giovinezza.
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