Gli indignados segnano la fine dello yes we can? La Rete: "Obama per noi non ha fatto nulla"

Le protesta giovanile contro Wall Street e il potere economico-finanziario ora si è saldata con quella dei sindacati. Il popolo della Rete si sente usato: "Un errore credere in lui. Per noi non ha fatto nulla"

Gli indignados segnano la fine dello yes we can? 
La Rete: "Obama per noi non ha fatto nulla"

Gli indignados americani se la prendono con Obama e con il suo sogno smerciato sulle bancarelle di tutto il mondo. Oggi «Yes we can», «Noi possiamo» è solo una scritta su un cappellino sbiadito. Eppure solo tre anni fa significava tutto. Era sogno e riscatto. Un’onda anomala nel sistema, la vittoria di uno per la rivincita di tutti. Obama allora aveva tratto enorme vantaggio dalla rete. Il suo popolo lo aveva già eletto perchè quel motto aveva davvero aperto un orizzonte nuovo. Non doveva essere solo slogan. Oggi la formula di Obama non fa più magie.

Gli indignados scesi in piazza se la prendono con quel cavallo di battaglia azzoppato. Obama un mito, Obama un maestro di vita che ripeteva come un mantra: «Sì, noi possiamo». Lui sì, loro no. Loro non ce l’hanno ancora fatta. Tre anni dopo gli indignados hanno solo tanta rabbia in più. Allora la colpa era di Bush, degli sciacalli di Wall Street dei Gekko. E oggi? Oggi a chi dare la colpa? Oggi è solo rabbia globale. Manganellate davanti a cui lui chiude un occhio, lui che riesce solo a dire: «Sono l’espressione della frustrazione degli americani». Ovvio che lo sono. A New York come a Madrid, come in Egitto, in Tunisia.

L’altro giorno, erano trentamila giovani dopo un tam tam telematico partito dal sito «Occupy Wall Street», c’erano sindacati newyorkesi, ma anche molte associazioni civili. Tutti elettori di Obama che adesso si sentono traditi. «Io sono venuta oggi perchè è giusto scendere per strada», grida Juana, dal Queen e che lavora per un’associazione che aiuta gli immigrati. «Qui siamo centinaia di persone, siamo qui per dire alle banche che non abbiamo paura, per dire a Obama che ci ha ingannato. Ci aveva promesso grandi cose. Non ne ha realizzata nessuna». In piazza come ai tempi della guerra del Vietnam: marce nelle strade vicino a Wall Street, a manifestare contro la crisi e la speculazione.

L’indignazione sta contagiando tutti, ci sono gli universitari, i ricercatori, le infermiere, gli immigrati, studenti di musica, iscritti al partito democratico come Sean Larson, universitario militante in una rete di associazione socialista. «La crisi finanziaria ha messo in crisi tutto il sistema del capitalismo e soprattutto ha convinto la gente che c’è bisogno di una società completamente diversa. Non è successo nel 2008 perchè molti di noi avevano canalizzato la rabbia verso Bush votando per Obama, la nostra speranza. Ma Obama ha fatto le stesse cose di Bush». Il coro è concorde. «Abbiamo eletto il candidato più progressista e illuminato di tutti i tempi e non è cambiato niente», dice una ragazza.

C’è frustrazione per quel sogno interrotto che non tornerà perché credere una seconda volta non è possibile. «Tutto questo è una pazzia- dice Manjula, una ragazza che lavora in un negozio di giocattoli di Manhattan. «Il nostro errore è stato credere in Obama. Credere che lui avrebbe risolto i nostri problemi.

Era meglio credere in noi stessi, Obama è soggetto agli interessi come tutti gli altri politici. Magari ascoltasse il messaggio che arriva dalla strada. Ma non penso che possa cambiare davvero qualcosa». E «Yes we can» non fa davvero più magie.

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