Indro in aula ridicolizza De Mita

L'udienza al tribunale di Monza per il match Montanelli-De Mita (che lo ha citato per diffamazione, ndr) è fissata per le 9. Puntuale il direttore del Giornale - cappotto cammello, sciarpa verde - fa il suo ingresso nell'aula e tenta di entrare nella gabbia degli imputati pericolosi, quella con le sbarre di ferro. Non si può, è chiusa. L'aula subito si riempie: lettori, lettrici, curiosi, avvocati che arrivano come per caso, molti studenti, uno stuolo di giornalisti. Sono tutti per Montanelli. Sussurri, risatine, richieste di autografi, interviste: un happening. (...) «Perché l'ho chiamato “padrino”? Ho adoperato questo termine perché è ormai usuale nello stile di noi giornalisti; lo abbiamo mutuato dal linguaggio della malavita. Purtroppo fra politica e malavita sono molti i punti in comune. Ma su questo punto - si guarda attorno con finta preoccupazione - non vorrei che fosse la malavita a querelarmi». L'aula esplode in applausi, risate, schiamazzi, del tutto sorda ai richiami del presidente. Sembra di essere a teatro. Ma che dico? In uno stadio. Montanelli, ormai lanciato, sforna battute a getto continuo. «Se avessi detto la stessa cosa ad Andreotti, Andreotti mi avrebbe mandato un telegramma: “Caro compare, siamo d'accordo”». (...) quando il presidente, che conduce il processo con molto garbo e non senza qualche imbarazzo, invita Montanelli a dettare lui stesso al cancelliere, in buon italiano, le frasi che pronuncia. Il pubblico si scatena.

Ogni inciso viene accompagnato da un contrappunto di risate, cachinni, ironie su De Mita, applausi per Montanelli.
Gian Galeazzo Biazzi Vergani, Mario Cervi - I Vent'anni del Giornale di Montanelli

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