Racconta che ogni tanto, nel bel mezzo degli allenamenti, labbandonano lì da sola dentro al campo di calcio e se ne vanno tutti insieme a comprarsi la coca cola, semplicemente perché hanno voglia di berla. «Ma poi tornano, e lentusiasmo che mi dimostrano durante gli esercizi io non lho mai trovato in nessun altro bambino». È venerdì pomeriggio e Ines Oesterle è seduta su una panchina del parco Sempione, tuta blu scuro e borsone a tracolla. È carica di palloni e cinesini e sta per andare a prendere il passante ferroviario che la porterà a Rho, al campo nomadi comunale che sta alle porte della città. «Ci sono una decina di ragazzini che mi stanno aspettando - dice - andremo a piedi nel campetto di calcio lì vicino e faremo quasi due ore di allenamenti. Molta tecnica e per finire la classica partitella». Biondina, ventiquattro anni, occhi chiari, un forte accento tedesco che colora il suo italiano praticamente perfetto, Ines è iscritta all'università Cattolica nella facoltà di Scienze motorie. Ma, soprattutto, è una calciatrice di serie A che gioca sulla fascia destra nel Milan e che, dallinizio di gennaio, ha deciso di fare la volontaria nei campi rom di Milano insegnando ai bambini a giocare a pallone. «È unesperienza straordinaria - racconta - e poi io ho un sogno: farli giocare, un giorno, in una vera squadra di calcio organizzata. E in futuro portarci anche le bambine rom a cui, adesso, i genitori vietano di giocare a calcio».
Il suo sogno, in realtà, ha radici lontane. «Sono originaria di Stoccarda - racconta - e ho cominciato a giocare a calcio a dieci anni. In Germania è una cosa normalissima, ogni paese, anche quelli piccoli, hanno una squadra maschile e una femminile. Dopo la maturità ho deciso che volevo venire in Italia, ne amavo la lingua e la cucina. Così nel 2003 mi sono decisa: sono entrata nel Fiamma Monza e sono rimasta qui un anno per imparare litaliano».
Sempre con il calcio nel cuore, Ines è poi tornata in Germania, ma questa volta a Friburgo, dove è diventata fascia destra della squadra locale e si è iscritta alluniversità di Scienze motorie ed Economia politica. «Ci sono rimasta tre anni - ricorda sorridendo - poi mi sono fidanzata con un italiano e sono di nuovo tornata qui. Tramite il programma Erasmus mi sono iscritta prima alla Bocconi e poi alla Cattolica e ora vivo a Carate con il mio ragazzo, mi alleno col Milan quattro volte alla settimana e poi... faccio lallenatrice per i bambini rom del campo nomadi di Rho».
Questa idea, racconta, le è venuta per caso. «Avevo già in mente di impegnarmi in qualche Ong - confida - ma il problema dei nomadi in Italia mi aveva davvero incuriosito. Avevo voglia di capirci di più e anche di andare oltre i pregiudizi, così ho contattato lOpera nomadi di Milano». Si dice sorpresa, prima di tutto, dalle capacità motorie dei bambini che fanno con lei gli allenamenti, dalla loro vitalità e dallentusiasmo che hanno. «Qualche giorno fa uno di loro mi si è avvicinato chiedendomi se anche un rom può diventare un calciatore. Questi bambini hanno dai sei agli undici anni e spesso si sentono dei diversi, ma a me piacerebbe che in futuro potessero riuscire a integrarsi in una squadra di calcio vera e propria, e con loro anche le bambine». Intanto al campo ci sono Adam, Andrea, Daniel e tanti altri che la stanno aspettando.
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