Inferno parigino per gli azzurri Domenech: l’inno non si fischia

Il ct transalpino costretto a intervenire dopo la campagna mediatica contro gli italiani: «Mameli è musicale e bello. I campioni del mondo meritano applausi... almeno all’inizio»

Tony Damascelli

nostro inviato a Parigi

Per il 57 per cento degli interpellati dall’Equipe la partita di stasera non sarà una rivincita. Per l’87 per cento, però, sarà una confiture, nel senso che la Francia farà marmellata dell’Italia al grido di allonsenfants. Sapete come sono fatti i cosiddetti cugini nostri: pensano di essere sempre e ancora al centro dell’Impero, ci trattano come i ritals che scaricavano le ceste di frutta e verdura, di pesce e di carne a les Halles, il mercato che veniva chiamato il ventre di Parigi. La partita di Berlino ha provocato dolori e nausea in zona più alta del suddetto ventre, direi stomaco. Basta sentirli, in queste ore, alla radio e in televisione, parlano del nostro Paese come del sito della corruzione, della prevaricazione, della bassa politica, aggiungono che il nostro calcio non meritava la coppa del mondo dopo tutti i trucchi conosciuti (Le Parisien), strillano contro Materazzi (Rtl e Europe!) che ha avuto l’ardire di offendere l’etoile de l’Etoile, al secolo sua altezza Zinedine Zidane. Nel frattempo dimostrano impressionanti vuoti di memoria legati al Marsiglia o al Bordeaux, ai loro presidenti, alle vicende di ciclismo, insomma a un Paese che non è più douce France, cher pays de mon enfance.
Repertorio classico per una partita che è diventata improvvisamente unica, la prima contro la seconda, stando alle recenti graduatorie (per qualcuno ranking) e immagini del mondiale, collegamento televisivo in venti Paesi, ottantamila allo stadio, su ebay si vendono biglietti a prezzi gonfiati come è gonfio il petto dei cocoricò nella squadra di Domenech, uno che con l’Italia ha dei sospesi, che si tratti dell’Under o della nazionale A, quando vede l’azzurro le busca da Maldini Cesare o da Lippi Marcello.
Ieri nel ritiro francese si è parlato soprattutto di Makelele che, come altri sodali suoi in ogni parte del mondo, Italia compresa, usa la nazionale come la porta girevole di un grand hotel: si entra e si esce secondo le proprie paturnie. Makelele, che ha 33 anni, non voleva proseguire dopo il mondiale ma Domenech lo ha precettato e Mourinho, allenatore di tante parole al Chelsea, ha detto che lo stesso Makelele è uno schiavo. Va da sé che i francesi si siano offesi, soprattutto per il sostantivo utilizzato da un portoghese verso un citoyen fedele alla Patria. Sull’argomento comunque la Francia va a testa bassa, un professionista deve rispettare chi lo paga ma anche chi lo ha tesserato. Dovrebbe valere anche in Italia ma controllate i convocati di Donadoni e tirate due conti.
Raymond Domenech ha detto che rivincita non è ma «piuttosto sarebbe bello mettere l’Italia a 5 punti di distanza», che significa vittoria e fuga. Vieira, l’altro chiamato al microfono ieri, ha spento gli abbaglianti dei colleghi francesi su Materazzi che è suo nuovo socio all’Inter: «Abbiamo fraternizzato, gli piace scherzare, è un bravo ragazzo. Quella storia è finita, le provocazioni a volte possono portare a reazioni forti, dipende dal carattere ma questa partita va giocata per i tre punti, soltanto per quelli».
Ma come si può dimenticare? Era il titolo della prima pagina di ieri de l’Equipe, stava a corredo di una fotografia che riassumeva il secondo decisivo del 9 luglio, sito di Berlino, i francesi desolati, sparpagliati, azzittiti a centrocampo, Makelele a novanta gradi, Malouda con le mani sui fianchi, Gallas e Diarra con lo sguardo rivolto verso gli azzurri, Trezeguet con la mano sinistra a coprirsi gli occhi dopo il penalty sbagliato, mentre dieci metri più in là Pirlo, Toni, Cannavaro, De Rossi, Iaquinta e Zambrotta filano come un eurostar, anzi un mondialstar a festeggiare il titolo. Roba già antica ma bella fresca in questa Parigi ancora incollata dall’afa imprevista che forse condizionerà anche i muscoli degli attori. Dicono i francesi che però il futuro è loro, perché la squadra è giovane, perchè è finita la belle epoque ma ne è già incominciata un’altra, Ribery, Malouda, Faubert, Gourcuff, Sinama-Pongolle e su tutti Benzema che viene definito il vero uomo della svolta, ancora tenuto nell’ovatta dell’Under di Giraud. Come si può dimenticare dunque? Pensando a Facchetti è bello ricordare. E il popolo dello stade de France, questa sera, ne sono sicuro saprà farlo.

Lo ha chiesto espressamente Domenech: «L’inno italiano non deve essere fischiato perché è bello e musicale. Gli italiani meritano applausi, almeno all’inizio. Non fischiare dimostra nobiltà d’animo e sportività». Altrimenti la Francia meriterà un altro schiaffo.

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