Un’ingiustizia: il rischio è creare malati di serie B

Chi non vorrebbe essere curato a casa propria, con medici e infermieri a disposizione, con apparati tecnologici ai piedi del letto o in salotto? Ma non si può per due motivi, uno riguarda l’organizzazione sociale di un Paese democratico, l’altro è di natura etica.
L’ospedale è la struttura sociale di riferimento in cui si curano i cittadini, esattamente come la scuola è il luogo di formazione dei giovani. Istituzioni pubbliche gestite dallo Stato o da enti privati, sottratte all’iniziativa personale, soggettiva. In questo modo, si garantisce a tutti la possibilità di cura (e di istruzione nel caso della scuola). È un risultato fondamentale di una società democratica che non intende fare differenze sul diritto alla salute (e a quello dell’istruzione), lasciando ai singoli le modalità di intervento su una materia tanto delicata.
D’altra parte, è improponibile pensare di poter usufruire in proprio delle opportunità di cura presenti in un ospedale: ci sono strumenti diagnostici, protocolli clinici che non possono essere dislocati da un ospedale a una casa privata. Ma anche se si potessero trasferire, non sarebbe corretto perché si priverebbe la struttura pubblica di strumenti e di energie umane che, situate in uno stesso luogo (l’ospedale, appunto), possono essere al servizio di tutti.
E così veniamo alla seconda questione. La signora di Varese dice di voler rinunciare a qualsiasi intervento clinico che non sia praticabile nelle sue quattro mura domestiche. La decisione pone un problema etico al medico e alla stessa società che ha individuato nell’ospedale il luogo pubblico della cura. Tralasciamo tutti i ragionamenti sull’accanimento terapeutico, sul testamento biologico: consideriamo semplicemente che la persona in questione sia curabilissima ma voglia rimanere a casa sua.

Cosa fa il medico che sa che la donna deve curarsi in ospedale dove ha tutte le possibilità per guarire? La lascia morire per assecondare il suo desiderio? E noi cittadini ci infischiamo nella decisione di quella donna, lasciando che faccia quello che vuole, pur sapendo che in ospedale potrà guarire?
Un medico ha l’obbligo di cura, e una società civile deve vigilare e pretendere che quest’obbligo sia rispettato per salvaguardare un diritto individuale.

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