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Ingrid, la madre coraggio che combatteva la corruzione

Ingrid, la madre coraggio che combatteva la corruzione
Dalla sua terra natale, la Colombia, ha ereditato il temperamento, latino, focoso, indomabile. Dal suo Paese di adozione, la Francia, ha ricevuto la passione per la democrazia, la giustizia, i diritti civili. Ingrid Betancourt ha 45 anni e dal 2002 è prigioniera delle Farc, le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Parigi non l’ha mai dimenticata e da cinque anni si batte per ottenerne la liberazione; senza vacillare anche quando molti pensavano che fosse morta.

Sua madre, Yolanda Pulecio, è un’ex Miss Colombia poi entrata in politica; suo padre un ex ministro colombiano e poi diplomatico di stanza a Parigi, dove Ingrid, nata a Bogotà il 25 dicembre 1961, trascorre gran parte della gioventù. Si laurea alla facoltà di Science Po e sposa un compagno di studi, Fabrice Delloye. Con il matrimonio ottiene anche la cittadinanza francese. Nascono due figli, Mélanie e Lorenzo. Fabrice è un diplomatico e la coppia si sposta in diversi Paesi.

Nel 1989 la svolta: Luis Carlos Galán, candidato alle elezioni presidenziali colombiane, eroe della lotta al narcotraffico, viene ucciso in un attentato. Ingrid è scioccata e decide di tornare a Bogotà; lavora per qualche mese presso il ministero delle Finanze, poi si lancia in politica. Nel 1994 viene eletta in Parlamento dopo una campagna durante la quale aveva distribuito preservativi come simbolo contro il contagio della corruzione.

La Betancourt fonda il «Pardido Verde Oxigeno» ed è sempre più popolare, ma il matrimonio fallisce. Divorzia da Fabrice, tenendo con sé i due figli. Nel 1998 altro trionfo elettorale: viene eletta in Senato con il maggior numero di preferenze. Ma riceve minacce di morte. Impossibile ignorarle in un Paese come la Colombia: Ingrid, che nel frattempo si è risposata con un colombiano, Juan Carlos Lecompte, decide di mandare i figli dall’ex marito, in quel momento è in missione in Nuova Zelanda. Crede nel presidente Pastrana Arango, ma se ne pentirà presto. Scrive un libro, diventato famoso, tradotto in tutto il mondo (in Italia con il titolo Forse mi uccideranno domani - Sonzogno editore), ma inizialmente vietato a Bogotà.

La Betancourt è sempre più sfiduciata nei confronti della classe politica. Nel 2002 si candida alle presidenziali, ma proprio quell’anno il processo di pace con le Farc fallisce, in seguito al dirottamento di un aereo da parte dei guerriglieri che sequestrano tutti i passeggeri.


La parola torna alle armi, ma Ingrid non si dà per vinta e si ostina ad andare in una zona smilitarizzata dove fino a pochi giorni prima era possibile dialogare con i leader delle Farc. Il governo tenta di dissuaderla, inutilmente. Il 23 febbraio 2002, Ingrid con la segretaria Clara Rojas e ad alcuni collaboratori si avvia verso il paese di San Vicente del Caguan. Non tornerà più indietro.

Per due anni le Farc inviano periodicamente dei video di Ingrid e degli altri ostaggi; poi più nulla. La Francia, però, non la dimentica e continua a battersi per lei: i famigliari, il governo e l’opinione pubblica. Tutti uniti. Lo scorso maggio la conferma: Ingrid è viva. E attende di essere liberata.
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