Andrea Acquarone
nostro inviato a Parma
L'indagine ormai la si fa in tv. Coi giornalisti, gli psicologi, i criminologi, gli investigatori privati. Ciascuno coi propri sospetti, con le accuse velate, i dubbi di chi non sa ma insiste a parlare. Mentre i minuti, le ore, i giorni continuano a trascorrere inesorabili, mentre la vita degli altri va avanti senza riuscire a indovinare dove sia, invece, finita quella di Tommaso. Da qualche giorno ci provano anche le medium d'Italia. Ognuna con la propria indicazione e i magici pendolini che dovrebbero dirci dove si nasconde la soluzione di questo caso che da diciassette giorni sconvolge l'Italia.
È vivo o morto, questo piccino di diciotto mesi, rubato dalla sua casa sperduta in mezzo ai campi padani? Le segnalazioni si moltiplicano, come le opposte «sensazioni» delle paranormali. Interessa di più il parere degli investigatori, che sono tanti e non sempre d'accordo. Loro continuano a non parlare. Ma che in via non ufficiale dicono: «Tommy è vivo, non abbiamo ragione per credere il contrario, e finché non l'avremo è nostro dovere essere ottimisti».
Su Parma e dintorni continuano a frullare le pale degli elicotteri. Anche ieri mentre magistrati, poliziotti e carabinieri si riunivano nell'ennesimo vertice, gli uomini in divisa proseguivano nelle loro ricerche, controllando casolari, bloccando strade, sguinzagliando i cani che dovrebbero annusare il percorso dei rapitori di Tommaso. Una segnalazione li ha portati a Noceto, paesello di quattromila abitanti della provincia. È conosciuto per il vino, che porta lo stesso nome. Ma del bambino nessuna traccia. Gli inquirenti dopo aver tenuto, fin dall'inizio, sotto pressione la sua famiglia, ovvero il padre Paolo Onofri e la mamma Paola, hanno lasciato loro una giornata di tregua. Senza interrogatori, nessuna perquisizione. Quello che c'era da portare via è stato preso, valigie, computer, oggetti personali, abiti, telecamera digitale compresa, tutto è sotto la lente dei microscopi dei Ris. Peccato che questo film stia durando tanto. Troppo. Senza farci scorgere il lieto fine.
Ci prova persino don Mazzi, il prete degli «ultimi» a portare un po' di speranza. L'altra sera è entrato nella casa di Martorano dove l'ormai ex direttore delle poste e sua moglie hanno trovato rifugio. La villetta della sorella di lei. «Abbiamo bevuto un caffè insieme», prova a celiare il prete. Poi: «Ho parlato con i due coniugi, anche separatamente. Stanno male, soprattutto lei, la mamma. È distrutta». Lui, sembra, si sia anche confessato, finalmente l'abbandono di fronte alla croce, la stessa che ostentava sul petto dal giorno dopo il rapimento mentre gli inquirenti lo accusavano di pedopornografia. Don Mazzi spiega il perché del suo arrivo. Qualcuno di famiglia lo ha chiamato. «Mi offro come intermediario perché il problema di Tommaso torni in evidenza e perché si smetta da parte del mass media di ragionare su altre cose. Mi sembra che tra i rapitori vi fosse anche una donna. Voglio sperare che un pezzo di cuore aiuti questa persona a dare un segnale». A Bologna nel frattempo, intorno alle 17 il summit, presenti il procuratore aggiunto Silverio Piro, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia (Dda), la pm Lucia Musti mentre da Parma era arrivato il sostituto procuratore Pietro Errede. Con loro poliziotti, carabinieri e uomini dello Sco di Roma. Sulla riunione non trapela alcunché.
Sembra comunque che le indagini seguano con molta attenzione la pista degli operai che avevano lavorato nella villetta di Casalbaroncolo, un paio di loro, divenuti amici di famiglia. Ma un messaggio spiega quanta tensione via sia tra i cervelli di quest'inchiesta che sembra sempre più sperduta. A parlare è il procuratore Enrico Di Nicola, il capo della Dda. Chiaro il riferimento alle indicazioni fornite dalla sensitiva che due giorni fa aveva indicato nel fiume Magra il luogo dove poteva trovarsi il cadavere del piccolo Tommaso.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.