Gli insegnanti scappano dall’aula e in cattedra sale il criminologo

Insulti, offese, minacce. Aggressioni verbali che si trasformano in risse davanti agli occhi attoniti degli insegnanti. E ancora mortificazioni d’ogni genere per il compagno handicappato e umilianti angherie per la ragazzina rom. Dodicenni esclusi, vessati e umiliati dal branco. Siamo nella scuola media dell’istituto comprensivo Lorenzini Feltre, 1.200 alunni e un tessuto sociale, quello del Corvetto, dove ai problemi della periferia si sono aggiunti quelli dell’immigrazione. E dove le scuole sono la vera cartina di tornasole delle difficoltà che si registrano a livello sociale.
Qui, tra i banchi di una seconda media la situazione è più che incandescente. «Classe polveriera», l’ha definita la preside, Elena Borgnino. Per capire il perché basta guardare i numeri: 22 alunni dei quali oltre la metà stranieri di etnie diverse, nordafricani, sudamericani e rom, e per il restante formata da studenti italiani che hanno uno dei genitori (più spesso il padre) detenuto. Una classe limite. «Una classe dove minacciare note, punizioni o sospensioni non serviva a niente», spiega la dirigente. Tanto da indurla a chiamare un pool di esperti: un criminologo, due psicologi e altrettanti mediatori. Per quattro mesi sono entrati in quella classe non dopo l’orario di lezione, né per tenere conferenze. No, sono entrati in classe al posto degli insegnanti di italiano o matematica. Per insegnare ai ragazzi a convivere. «Nessun docente riusciva a terminare la propria lezione - spiega ancora la preside -. Le ore finivano in rissa o con conflitti interni che invece di stemperarsi stavano diventando la normalità quotidiana».
Dopo aver ottenuto il consenso dei genitori sono entrati in classe con una videocamera e hanno registrato tutto, in totale 22 ore di lezione. «Volevamo poter riguardare i filmati per studiare dinamiche e soluzioni», spiega il criminologo che ha diretto il lavoro, Adolfo Ceretti, docente alla facoltà di Giurisprudenza della Bicocca. «La situazione più grave era tra le ragazze, che avevano messo in atto dinamiche di esclusione e di umiliazioni fortissime nei confronti di tutte quelle che non erano ritenute affiliate al branco», racconta il criminologo. «Poi c’erano i figli di detenuti, ragazzi con un’infanzia complessa, autori di gran parte degli atti di bullismo della classe, perché chi è vittima diventa a sua volta carnefice. In classe c’erano ragazzini esclusi e vessati dai compagni, vittime di una sofferenza psichica difficile da sopportare. Quello che abbiamo fatto è studiare le dinamiche della classe, capire “leader” e vittime e poi applicare la cosiddetta giustizia riparativa». Bulli che si mettono dalla parte delle vittime e viceversa, con il duplice obiettivo di far prendere coscienza da una parte del danno causato e dall’altra quello di far superare il trauma subito. Un esempio? «Il bullo credeva di essere un leader. Dopo aver ricevuto dai compagni giudizi negativi, dopo aver ascoltato le sofferenze del compagno vessato è riuscito a chiedere scusa alla classe».

«Certo i nodi da risolvere ci sono ancora - dice la preside -, ma le relazioni tra i compagni sono migliorate, i ragazzi hanno cominciato a ragionare di più con i loro insegnanti sulle loro frustrazioni e l’aggressività. Il tessuto sociale resta comunque difficile, e per questo la scuola può fare ben poco».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica